La vicenda della famiglia anglo-australiana scelta a vivere in Abruzzo, soprannominata “famiglia nel bosco”, continua a generare un’eco complessa, lontana dalla frenesia mediatica iniziale.
A Palmoli, il piccolo borgo teatro di questa storia, la quiete regna sovrana.
L’assenza di un’impennata di turismo o curiosità, osservata dal sindaco Giuseppe Masciulli, contrasta con l’attenzione globale che la vicenda ha suscitato.
La visita della vice console australiana a Vasto, dove i tre minori e la madre Catherine sono attualmente ospitati in una struttura protetta, non ha innescato un’ondata di comunicazioni ufficiali da parte delle ambasciate inglese e australiana, lasciando il sindaco escluso da qualsiasi aggiornamento diretto.
La distanza operativa tra il Comune e la gestione giudiziaria del caso è palpabile.
L’impossibilità del sindaco di esprimere valutazioni, a causa del completo isolamento dalle informazioni relative al collocamento in casa famiglia, evidenzia una frattura nel processo decisionale.
Il silenzio che avvolge il progetto di miglioramento e ristrutturazione dell’abitazione a Palmoli, destinata a diventare la loro residenza, sottolinea ulteriormente questa separazione.
La dichiarazione di inagibilità della dimora originale, che ha portato il Tribunale per i minorenni dell’Aquila a disporre il trasferimento dei bambini, solleva interrogativi sull’impegno verso un’integrazione reale e sostenibile della famiglia nel tessuto sociale abruzzese.
Al di là delle dinamiche istituzionali e giudiziarie, la vicinanza personale e l’affetto popolare persistono.
Armando Carusi, ristoratore di Ortona e nativo di Palmoli, testimonia questo legame attraverso i messaggi quotidiani con Nathan, il padre di famiglia, e il generoso gesto del comodato gratuito del suo casolare ristrutturato, un rifugio temporaneo dove Nathan si è momentaneamente stabilito.
L’amarezza di Carusi, per l’attuale separazione dalla famiglia, si traduce in un appello alla riflessione collettiva, un desiderio sincero di favorire il ricongiungimento e di superare le barriere che li tengono lontani.
Questa vicenda, ben oltre la sua dimensione sensazionalistica, pone interrogativi fondamentali sulla tutela dei diritti dei minori, sulla definizione di “sano ambiente di crescita” e sull’importanza di un approccio che coniughi autonomia individuale e integrazione comunitaria, evitando soluzioni preconfezionate e valorizzando il ruolo delle relazioni affettive e del legame con il territorio.
La speranza è che il silenzio di Palmoli possa presto essere interrotto dal suono di una famiglia finalmente riunita, capace di ricostruire il proprio futuro in armonia con la comunità abruzzese.






