Nel cuore dell’Abruzzo, a Scanno, un borgo sospeso tra cielo e lago, si consuma un addio silenzioso, un lento svanire di un’identità radicata nel tempo.
La scomparsa di Adelia e Anna, due matriarche novantenni, lascia Margherita Ciarletta come ultimo baluardo di una tradizione secolare: l’indossare l’abito tipico di Scanno, un’eredità culturale di straordinaria bellezza e significato.
L’abito, non solo un indumento, ma un vero e proprio manifesto dell’anima di Scanno, è oggi al centro di una potenziale candidatura come patrimonio immateriale dell’umanità UNESCO, un riconoscimento che ne celebrerebbe la ricchezza storica e la fragile continuità.
Margherita, con i suoi quasi 94 anni, incarna la perseveranza di una memoria collettiva.
Da quasi settantacinque anni, da quando aveva appena diciotto anni, ha scelto di vestire quell’abito, un’imponente giustapposizione di ricami, tessuti pregiati e simboli ancestrali, che riflette la stratificazione culturale del borgo.
La sua scelta non è stata imposta, né dettata da convenzioni: è stata una dichiarazione d’amore per le sue radici, un atto di resistenza contro l’omologazione.
La sua esistenza è un affresco di una vita vissuta in simbiosi con il territorio.
Raramente ha lasciato Scanno, limitandosi a un breve viaggio di nozze a Roseto degli Abruzzi e a una visita al figlio laureato a Pisa, dove la sua figura, più che la celebre torre pendente, catturò l’attenzione dei turisti, desiderosi di un’immagine con la donna che incarna l’autenticità abruzzese.
La sua memoria è costellata di ricordi, di piccoli gesti quotidiani, come la preparazione del latte caldo da parte del figlio, la cucina dei piatti tradizionali – dai maccheroni ai cazzillitti – e l’incontrato inaspettato con Silvana Mangano, attrice di fama internazionale, durante le riprese del film “Uomini e lupi” nel lontano 1955.
La sua lucidità, nonostante l’età, traspare anche nei suoi commenti sulla società contemporanea: un giudizio sereno, privo di giudizi affrettati, consapevole che ogni generazione ha il diritto di scegliere il proprio percorso.
Non offre consigli, perché sa che le nuove generazioni seguono i propri istinti.
La scomparsa delle sue compagne di tradizione lascia un vuoto incolmabile, ma anche un’eredità preziosa: la testimonianza di una vita interamente dedicata alla celebrazione delle proprie radici, un invito silenzioso a preservare l’autenticità culturale di un piccolo borgo abruzzese, custode di una bellezza fragile e unica al mondo.
La sua esistenza, semplice e profonda, è un monito a non dimenticare il valore delle tradizioni, a riscoprire la bellezza del passato e a proteggere la ricchezza immateriale che ci rende unici.