Un’onda di scontento e preoccupazione sta investendo il sistema sanitario abruzzese a seguito dell’approvazione di un piano di riduzione di 11 milioni di euro destinati al salario accessorio del personale sanitario, tecnico e amministrativo operante nelle quattro Aziende Sanitarie Locali (ASL).
La Filtar Cil Abruzzo Molise ha lanciato l’allarme, denunciando una strategia che, a suo dire, trasferisce il peso delle difficoltà economiche delle ASL direttamente sulle spalle dei lavoratori, erodendo incentivi e compensi legati alla produttività e alla specificità delle mansioni, con riduzioni che variano sensibilmente, raggiungendo il 60-80% in alcuni casi.
La Regione Abruzzo, in risposta alle contestazioni, ha cercato di fornire una giustificazione tecnica, sostenendo che la manovra è un intervento previsto dalla normativa nazionale e vincolato al raggiungimento dell’equilibrio finanziario del sistema sanitario regionale, come stabilito dal cosiddetto “Decreto Calabria”.
Questo, in sostanza, implica che la Regione possa attingere a questi fondi solo se dimostra di aver risanato i propri conti.
L’opposizione, rappresentata dal Partito Democratico con i suoi esponenti Daniele Marinelli e Silvio Paolucci, ha definito la decisione “un atto di gravissima ingiustizia” e “un’ulteriore spirale negativa” per il personale sanitario, sottolineando come queste riduzioni salariali abbiano un impatto sociale ed economico superiore all’aumento delle imposte, e come rappresentino un fallimento politico ed etico.
La gestione della situazione, inoltre, è stata oggetto di critiche: il sindacato lamenta la mancanza di trasparenza e di comunicazione preventiva con le parti sociali, accusando la leadership regionale di un comportamento elusivo e di un isolamento deliberato.
La decisione, presa a fronte di un disavanzo complessivo di 113 milioni di euro, appare come una disperata ricerca di risorse, una sorta di “raschiatura del fondo del barile” che testimonia una profonda crisi di gestione finanziaria.
La Regione, nella sua replica, ha richiamato l’articolo 11 del Decreto Legge 35/2019, sottolineando l’obbligo di conformarsi alla normativa statale, precisando che il costo complessivo del personale sanitario regionale si attesta sui 910 milioni di euro.
Questa cifra, pur fornendo un quadro dimensionale, non sembra placare le contestazioni, che si concentrano sull’impatto diretto di queste riduzioni sui servizi offerti alla comunità e sulla motivazione del personale sanitario, messo a dura prova da una situazione di crescente precarietà e incertezza.
Il rischio è quello di compromettere la qualità dell’assistenza e di esacerbare il già diffuso fenomeno della fuga di professionisti qualificati verso altre regioni o verso il settore privato.
La vicenda pone, quindi, una questione di principio: come conciliare l’imperativo del risanamento finanziario con la tutela del diritto alla salute e il riconoscimento del valore del lavoro in sanità?