L’era contemporanea è profondamente segnata da interrogativi etici complessi, che richiedono una revisione radicale dei principi fondanti del liberalismo.
Daron Acemoglu, luminare dell’economia istituzionale e docente al prestigioso MIT, ha sollevato questa problematica in occasione del Pomilio Blumm Forum, evidenziando una crescente disaffezione verso un modello che, pur avendo contribuito a innalzare il tenore di vita in molte aree del globo, si trova oggi a fronteggiare una crisi di legittimità.
La sfida non è semplicemente quella di “ringiovanire” il liberalismo, ma di ripensarlo in termini di equità, partecipazione e progresso condiviso, contrastando l’ascesa di movimenti antiliberali che attingono a un crescente malcontento popolare e intellettuale.
Le formule del passato appaiono inadeguate, incapaci di affrontare le nuove sfide poste dalla trasformazione economica e sociale che caratterizzano il nostro tempo.
Uno dei fattori cruciali di questa crisi è il passaggio dall’economia industriale a quella post-industriale, un cambiamento che ha interrotto il tradizionale legame tra aumento della produttività e miglioramento delle condizioni di vita per tutti.
L’automazione, sebbene portatrice di potenziali benefici, ha paradossalmente contribuito a creare un divario sempre più ampio tra chi possiede le competenze necessarie per prosperare in questa nuova realtà e chi, invece, si trova marginalizzato.
Questa polarizzazione, amplificata da una politica spesso sorda alle esigenze delle fasce più vulnerabili della popolazione, alimenta un senso di frustrazione e disillusione.
Acemoglu suggerisce che il liberalismo debba recuperare un senso di appartenenza alla comunità, riconoscendo la pluralità di valori e aspirazioni che coesistono all’interno di una società complessa.
È necessario un ritorno a una politica più partecipativa, che coinvolga attivamente i cittadini nel processo decisionale e che promuova l’inclusione sociale.
La questione dell’intelligenza artificiale assume un ruolo centrale in questa riflessione.
È imperativo orientare lo sviluppo tecnologico verso un modello “pro-lavoro”, una tecnologia che non sostituisca il lavoro umano, ma che lo potenzi, ampliando le capacità dei lavoratori e creando nuove opportunità di impiego.
Si tratta di un imperativo etico che va ben oltre la mera efficienza economica, richiedendo una responsabilità collettiva per garantire che il progresso tecnologico sia al servizio del benessere di tutti, e non solo di pochi privilegiati.
In definitiva, il futuro del liberalismo, e forse anche quello della nostra società, dipende dalla nostra capacità di affrontare queste sfide con coraggio, visione e un rinnovato impegno per la giustizia sociale.