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Agente Polizia Liberato, Indagato per la Morte di Barone: Interrogativi e Sospetti

La tragica vicenda che ha visto coinvolto Giusto Chiacchio, agente di polizia 26enne, si è conclusa con la sua liberazione, pur mantenendo lo status di indagato a piede libero.

L’episodio, avvenutosi sabato scorso a Milano in via Porpora, ha causato la morte di Matteo Barone, giovane 25enne investito e ucciso mentre attraversava la strada sulle strisce pedonali.
La decisione del Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) Roberto Crepaldi, che ha convalidato l’arresto operato dalla Polizia Locale ma ha respinto la richiesta di custodia cautelare avanzata dalla Procura, solleva interrogativi complessi che vanno oltre la mera constatazione del dolore per la perdita di una giovane vita.

La Procura aveva motivato la richiesta di carcerazione preventiva con la sussistenza di un pericolo di reiterazione del reato, una valutazione che, a quanto pare, non ha trovato riscontro nel provvedimento del giudice.
Questo implica un’analisi più approfondita dei profili di personalità dell’agente, elementi cruciali per determinare la gravità della sua responsabilità e il rischio che possa commettere atti simili in futuro.
La sospensione immediata della patente, sebbene una conseguenza inevitabile, appare un palliativo rispetto alla necessità di un’indagine puntuale sulla ricostruzione completa della dinamica dell’incidente e sulla valutazione oggettiva delle condizioni psicofisiche dell’agente al momento dei fatti.
L’acquisizione e l’analisi del telefono cellulare di Chiacchio costituisce un passaggio fondamentale nelle indagini della Polizia Locale, volto a chiarire se l’utilizzo del dispositivo durante la guida abbia contribuito all’incidente.

La testimonianza che riferisce di una velocità superiore ai 50 km/h, se confermata, aggraverebbe ulteriormente la posizione dell’agente, introducendo elementi di imprudenza che vanno al di là della semplice alterazione dovuta all’assunzione di alcol.

La constatazione, fatta dal GIP, di una “scarsa dose di empatia” mostrata dall’agente durante l’interrogatorio solleva preoccupazioni etiche e professionali.

L’assenza di rimorso o di consapevolezza della gravità del danno causato, anche se non costituisce reato in sé, è un indicatore di una potenziale mancanza di maturità emotiva e di una difficoltà ad assumersi le proprie responsabilità.
Questo aspetto, insieme alle altre circostanze emerse, rende cruciale un approfondimento psicologico per comprendere le motivazioni alla base del suo comportamento e per valutare la sua idoneità a ricoprire un ruolo di pubblica sicurezza.

La vicenda Chiacchio-Barone, al di là della specifica responsabilità penale dell’agente, pone interrogativi più ampi sulla sicurezza stradale, sulla formazione degli agenti di polizia e sulla necessità di una maggiore responsabilizzazione di chi, per professione, è chiamato a garantire l’ordine e la sicurezza pubblica.
L’indignazione collettiva per la perdita di una giovane vita deve trasformarsi in un’azione concreta per prevenire che simili tragedie si ripetano, attraverso un rafforzamento dei controlli, una maggiore sensibilizzazione dei cittadini e un’educazione alla guida improntata al rispetto della vita umana.

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