mercoledì 17 Settembre 2025
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Anarchici, Milano: Sentenza Shock per i Disturbi del 11 Febbraio

La sentenza della decima sezione penale del Tribunale di Milano, che ha visto dieci esponenti di area anarchica condannati per gli eventi dell’11 febbraio 2023, offre un’analisi approfondita di un episodio di grave tensione sociale, stratificato da implicazioni giuridiche e politiche complesse.
L’episodio, originato da una manifestazione a sostegno di Alfredo Cospito e in opposizione al regime carcerario del 41 bis, è stato ricostruito dai giudici come una deliberata escalation di violenza diretta contro le forze dell’ordine, funzionale a ostacolare l’esercizio del loro dovere di garantire la sicurezza e l’ordine pubblico durante lo svolgimento del corteo.
La condanna, con pene fino a quattro anni e sette mesi, non si limita a una mera valutazione delle azioni violente perpetrate in sede di manifestazione, ma ne ricostruisce il contesto motivazionale e la progettualità sottostante.
Sei degli imputati sono stati ritenuti responsabili in maniera diretta e personale di atti violenti, mentre gli altri sono stati giudicati corresponsabili, attraverso un concorso morale, nella resistenza alle autorità.

Questo riconoscimento della responsabilità morale sottolinea la valutazione da parte dei giudici di una volontà diffusa e condivisa di creare un clima di scontro e di rendere impossibile l’attività di controllo da parte delle forze dell’ordine.
L’inchiesta, condotta dai pubblici ministeri Francesca Crupi e Leonardo Lesti, aveva inizialmente accusato undici antagonisti, difesi dagli avvocati Eugenio Losco e Mauro Straini, ipotizzando una serie di reati, tra cui resistenza aggravata a pubblico ufficiale, danneggiamento e travisamento.

L’accusa principale, quella di aver orchestrato la manifestazione con l’unico scopo di innescare una “guerriglia urbana”, è stata confermata implicitamente dalla ricostruzione dei fatti contenuta nelle motivazioni della sentenza.
Il provvedimento solleva questioni cruciali sul diritto di manifestare e sui limiti che lo stesso incontra quando si trasforma in un’occasione per atti di violenza e danni alla proprietà.
La sentenza pone l’attenzione sulla responsabilità individuale e collettiva in situazioni di conflitto sociale, evidenziando come la legittima espressione di dissenso possa degenerare in azioni illegali che compromettono la sicurezza pubblica e l’esercizio delle funzioni istituzionali.

Il caso, oltre alla sua dimensione giuridica, riflette una più ampia polarizzazione sociale e una crescente difficoltà nel trovare un terreno comune per il confronto pacifico e costruttivo.
La sentenza rappresenta dunque un punto fermo nell’applicazione della legge e un monito per chi intende utilizzare la manifestazione come pretesto per comportamenti antisociali e per l’esercizio della violenza.

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