mercoledì 30 Luglio 2025
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Antisemitismo: quando l’odio si normalizza.

L’inquietudine più profonda non risiede tanto nella persistenza dell’odio – un’ombra fin troppo radicata nella storia umana – quanto nella sua progressiva normalizzazione, nel suo inconfessabile riconoscimento come diritto di espressione.

L’aggressione subita dal rabbino capo di Milano, Alfonso Arbib, e la testimonianza di un ebreo francese con il figlio di sei anni, sono macchie su una tela già offuscata da una crescente ondata di antisemitismo, non eventi isolati.
Questa non è una novità sconcertante; è una conferma di un’escalation preoccupante.
Il rabbino Arbib, con lucida amarezza, descrive un clima pesante, caratterizzato da episodi settimanali che vanno dalle aggressioni verbali a scritte antisemite imbrattate nel cuore del quartiere ebraico.
Ma la questione va ben oltre la mera frequenza degli atti vandalici e delle violenze.

L’antisemitismo, in tutte le sue forme, non è un fenomeno monolitico.

Si nutre di substrati culturali, di paure irrazionali, di manipolazioni politiche.

Nel contesto contemporaneo, assistiamo a una sua ibridazione, un’ammalgama pericolosa tra teorie cospirazioniste, revisionismo storico, e un’ostentata retorica di protesta che, paradossalmente, finisce per legittimare l’intolleranza e la violenza.
La banalizzazione dell’odio, la sua riduzione a una forma di dissenso politico, è il vero pericolo.
Quando l’antisemitismo viene presentato come una risposta a ingiustizie percepite, o come una forma di critica legittima verso Israele, si confonde la colpa e si offusca la responsabilità.

Si creano zone grigie in cui l’odio può prosperare sotto mentite spoglie, alimentando un clima di sospetto e paura.
È essenziale, quindi, non solo condannare gli atti di antisemitismo, ma anche smascherare le narrazioni che li rendono possibili.
È necessario un’educazione alla memoria, che non si limiti a raccontare le atrocità del passato, ma che insegni a riconoscere i segnali di pericolo, le distorsioni della realtà, le manipolazioni ideologiche.
La comunità ebraica italiana, come altre nel mondo, si trova a confrontarsi con una sfida complessa: quella di preservare la propria identità, la propria cultura, la propria storia, in un contesto sociale sempre più polarizzato e intollerante.
Ma la responsabilità non è solo sua.

È una responsabilità collettiva, che coinvolge istituzioni, media, scuole, famiglie, singoli cittadini.
Perché l’antisemitismo, come ogni forma di odio e di intolleranza, è una minaccia per la democrazia, per la convivenza civile, per l’umanità stessa.

Combatterlo significa difendere i valori fondamentali che ci rendono umani.

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