Il legame con un luogo, specialmente per chi come me opera nel campo dell’architettura, trascende la mera appartenenza geografica.
Non si tratta di un’adesione acritica, di una celebrazione superficiale, ma di un profondo senso di responsabilità verso il tessuto urbano, la sua evoluzione, la sua anima.
E come architetto, mi sento chiamato a preservare l’equilibrio tra innovazione e conservazione, a costruire non “cementificando”, ma modellando lo spazio con consapevolezza e rispetto per il contesto storico e sociale.
L’attuale situazione, segnata da un’inchiesta che mi coinvolge e da una campagna di delegittimazione mediatico-digitale, mi costringe a riflettere su queste dinamiche.
Si tratta di un episodio doloroso, un’emorragia di frammenti comunicativi estrapolati dal loro alveo, decontestualizzati e veicolati con una velocità e un’aggressività che amplificano l’impatto distruttivo.
Questa strategia, purtroppo fin troppo diffusa nel panorama italiano, sfrutta la fragilità percepita della verità in un’era dominata da informazioni frammentate e spesso inaffidabili.
La manipolazione del linguaggio, l’uso selettivo di dati, la distorsione delle intenzioni sono strumenti potenti, capaci di offuscare il dibattito pubblico e di minare la fiducia nelle istituzioni.
La rapidità con cui le accuse, anche le più infondate, si propagano attraverso i social media crea un clima di sospetto e di giudizio sommario, precludendo la possibilità di un’indagine accurata e imparziale.
Ritengo imprescindibile ribadire la mia fiducia nel sistema giudiziario.
La magistratura, con la sua indipendenza e la sua competenza, è l’unica garanzia per un accertamento della verità, per una valutazione oggettiva delle responsabilità e per il ripristino di una narrazione corretta.
La speranza è che il processo possa svolgersi in un’atmosfera di rispetto, basata sui fatti e non sulle apparenze, consentendo una completa chiarificazione di quanto accaduto.
Questo episodio, per quanto personale, solleva interrogativi più ampi sulla qualità del dibattito pubblico, sulla necessità di contrastare la disinformazione e sulla protezione della reputazione professionale.
È fondamentale promuovere una cultura della responsabilità comunicativa, che valorizzi la verifica delle fonti, la contestualizzazione delle informazioni e la tutela della dignità delle persone coinvolte.
Solo così potremo costruire una società più giusta, trasparente e capace di affrontare le sfide complesse del nostro tempo.
Il mio impegno resta saldo nella difesa di questi valori, convinto che la verità, alla fine, emergerà.