Il caso “Baby Gang”, pseudonimo di Zaccaria Mouhib, figura di spicco nel panorama del rap italiano e già noto per precedenti coinvolgimenti legali, si è concluso con un accordo in appello presso la Corte d’Appello di Milano.
L’episodio, originariamente contestato come minacce aggravate e disordini, risale al 12 luglio 2021, quando, insieme ad altri membri del suo entourage, fu negato l’accesso alla discoteca milanese Old Fashion.Il processo, inizialmente in primo grado, si è risolto con una revisione delle pene attraverso un concordato in appello, una forma di patteggiamento in secondo grado orchestrata dal suo avvocato, Niccolò Vecchioni, e dalla sostituta procuratrice, Daniela Meliota.
Questa scelta negoziale riflette una tendenza sempre più diffusa nel sistema giudiziario, mirata a evitare la lunga e costosa prosecuzione di un processo penale, soprattutto in casi in cui il reato, pur grave, non comporta necessariamente la necessità di una condanna detentiva.
La pena inflitta a Zaccaria Mouhib, da una condanna originaria di 8 mesi di reclusione, si è trasformata in una sanzione pecuniaria di 2600 euro.
Un alleggerimento simile è stato concesso ad altri tre imputati, tra cui Mohamed Lamine Saida, in arte Simba La Rue, stretto collaboratore e amico di Baby Gang, la cui pena è stata ridotta da 8 mesi a una multa di 600 euro.
Questa convergenza verso sanzioni pecuniarie suggerisce un tentativo di mediazione tra la gravità percepita delle azioni commesse e la volontà di evitare un precedente giudiziario pesante.
L’accordo in appello include anche la restituzione di un risarcimento danni a titolo di compensazione per le minacce rivolte al personale di sicurezza della discoteca.
Secondo l’imputazione, l’evento si sarebbe concretizzato con l’utilizzo di oggetti contundenti come bottiglie di vetro, bastoni e spranghe, con l’intento di intimidire gli addetti alla sicurezza e minacciare di provocare un incendio all’interno del locale qualora fosse stato nuovamente negato loro l’accesso.
Il coinvolgimento di Mattia Barbieri, in arte Rondo da Sosa, anch’egli rinviato a giudizio, contribuisce a delineare un quadro di un’azione concertata e premeditata.
Il caso solleva interrogativi sulla giustizia minorile e sulla gestione delle celebrità emergenti, spesso esposte a dinamiche complesse e a pressioni sociali.
La riduzione delle pene attraverso il concordato in appello indica una valutazione pragmatica del caso, considerando la possibilità di una riabilitazione e l’impatto che una condanna detentiva avrebbe potuto avere sulla carriera e sulla percezione pubblica del giovane artista.
L’episodio evidenzia inoltre la crescente importanza della mediazione e della negoziazione all’interno del sistema giudiziario penale, con l’obiettivo di trovare soluzioni alternative alla detenzione e di favorire il reinserimento sociale dei soggetti coinvolti.








