Varese, 21 Ottobre – Una decisione che interseca la necessità di tutela della vittima, le garanzie processuali dell’indagato e le complessità del sistema giudiziario italiano si è concretizzata con l’applicazione del braccialetto elettronico a carico di un 45enne arrestato per l’aggressione subita da una giovane di 19 anni in una fermata dell’autobus.
L’episodio, avvenuto martedì scorso, ha scosso la comunità locale, sollevando interrogativi sul tema della sicurezza urbana e della prevenzione della violenza, in particolare quella di genere.
Inizialmente, dopo l’arresto, l’uomo era stato rilasciato con una misura cautelare che imponeva il divieto di avvicinamento alla vittima entro un raggio di 500 metri.
Tale provvedimento, pur mirando a garantire la sicurezza della giovane, si è rivelato insufficiente alla luce della gravità dell’accusa e delle potenziali dinamiche di pericolo che potrebbero derivare da un contatto, seppur indiretto, con l’aggressore.
La decisione del Giudice per le Indagini Preliminari, Alessandro Chionna, di disporre l’applicazione del braccialetto elettronico rappresenta un’evoluzione significativa, un tentativo di bilanciare le esigenze di protezione della vittima con il diritto dell’indagato a non essere sottoposto a misure restrittive eccessive in una fase ancora preliminare.
L’utilizzo del braccialetto elettronico, infatti, consente un monitoraggio costante della posizione dell’indagato, rafforzando la deterrenza e garantendo un livello di sicurezza superiore rispetto al semplice divieto di avvicinamento.
Questa tecnologia, sempre più utilizzata nel contesto delle misure cautelari, non solo riduce il rischio di recidiva, ma offre anche alla vittima un maggiore senso di protezione e tranquillità.
La vicenda solleva, inoltre, importanti questioni procedurali e interpretative.
La decisione del Gip, infatti, evidenzia come l’applicazione di misure cautelari come il braccialetto elettronico debba essere attentamente valutata caso per caso, tenendo conto della gravità del reato, del pericolo di fuga o di inquinamento delle prove, e, soprattutto, del rischio per la sicurezza della vittima e della comunità.
La decisione, pur nel rispetto dei principi costituzionali, apre un dibattito sull’equilibrio tra la presunzione di innocenza dell’indagato e la necessità di prevenire e reprimere comportamenti violenti e aggressivi, particolarmente quando questi colpiscono soggetti vulnerabili come una giovane donna.
Si tratta, in definitiva, di una sfida complessa per il sistema giudiziario, chiamato a trovare soluzioni innovative e flessibili per tutelare efficacemente i diritti di tutte le parti coinvolte.