La Procura di Brescia si appresta a presentare un corposo ricorso in Cassazione, contestando le recenti decisioni del Riesame che hanno disposto l’annullamento dei provvedimenti di sequestro preventivo disposti in merito alle due intricate inchieste che coinvolgono figure di spicco dell’amministrazione giudiziaria.
In particolare, si tratta dei fascicoli relativi al caso Garlasco, costellato da accuse di corruzione in atti giudiziari, e al cosiddetto “sistema Pavia”, incentrato su presunte irregolarità e illeciti patrimoniali.
Le ordinanze del Riesame, frutto di un’approfondita disamina delle prove e delle motivazioni alla base dei provvedimenti originari, hanno evidenziato delle criticità rilevanti.
Nel caso riguardante l’ex procuratore di Pavia, Mario Venditti, il Riesame ha ritenuto insufficiente la specifica delle “parole chiave” impiegate nella perquisizione digitale dei dispositivi informatici.
Questa mancanza di dettaglio, secondo la Corte, compromette la trasparenza e la tracciabilità delle operazioni di acquisizione dati, elementi imprescindibili per garantire il diritto di difesa dell’indagato.
Inoltre, l’annullamento è stato motivato dalla carenza di elementi indiziari che supportassero le accuse a carico del magistrato in pensione e del collega, il pm Pietro Paolo Mazza, mettendo in discussione la sussistenza del presupposto fondamentale per l’adozione di una misura cautelare così incisiva come il sequestro.
Per quanto riguarda il caso Garlasco, le motivazioni del Riesame si sono concentrate sull’imprecisione nella definizione delle parole chiave utilizzate nella ricerca digitale e sull’eccessiva ampiezza del periodo temporale considerato, sollevando interrogativi sulla legittimità dell’acquisizione di dati potenzialmente irrilevanti per le indagini.
La decisione della Procura di Brescia di ricorrere in Cassazione riflette la convinzione che i provvedimenti di sequestro siano stati giustificati dalla gravità delle accuse e dalla necessità di tutelare il corretto svolgimento delle indagini, prevenendo la sottrazione o la manipolazione di prove digitali.
Il ricorso rappresenta, di fatto, una difesa della linea investigativa seguita e una contestazione delle interpretazioni fornite dal Riesame.
Parallelamente all’imminente presentazione del ricorso, una notizia di rilievo riguarda la possibile restituzione dei dispositivi informatici sequestrati a Mario Venditti, tra cui personal computer, telefoni e chiavette USB, precedentemente confiscati durante le perquisizioni del 26 settembre.
Questa restituzione, se confermata, interviene in un contesto di incertezza giuridica e attende l’esito del ricorso in Cassazione, che potrebbe comportare la riconferma o la modifica delle misure cautelari.
La vicenda, intrinsecamente legata alle indagini che coinvolgono anche Giuseppe Sempio, padre di Andrea, solleva interrogativi cruciali sulla proporzionalità delle misure restrittive e sul delicato equilibrio tra la tutela delle indagini e il diritto alla libertà personale e alla riservatezza dei cittadini.
Il caso si configura come un complesso nodo interpretativo che coinvolge principi fondamentali del diritto processuale penale e mette a confronto la necessità di una rigorosa indagine con il rispetto dei diritti costituzionali.









