La vicenda giudiziaria che coinvolge il giudice Roberto Spanò, culminata con la definitiva ripresa dei processi pendenti, rappresenta un caso emblematico che interseca il diritto, l’etica professionale e l’amministrazione della giustizia.
La decisione del presidente del Tribunale di Brescia, Stefano Scati, di respingere l’istanza di astensione presentata dal magistrato, a soli due giorni dall’archiviazione della questione di incompatibilità da parte del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM), pone fine a una fase di incertezza che rischiava di paralizzare importanti procedimenti penali.
La questione di compatibilità, sollevata inizialmente a seguito dell’incarico della moglie del giudice presso la Procura, aveva innescato un acceso dibattito sul principio di terzietà, pilastro fondamentale del processo equo e imparziale.
Il CSM, dopo un’attenta valutazione, ha sostanzialmente escluso la sussistenza di un’incompatibilità insanabile, un giudizio che il presidente del Tribunale ha recepito con rigore procedurale, confermando l’assegnazione dei fascicoli al giudice Spanò e ribadendo la sua piena legittimazione a pronunciarsi sui casi in esame.
Questa decisione, lungi dall’essere una semplice formalità, ha un significato profondo.
Segna un chiaro orientamento giurisprudenziale volto a garantire la continuità dei processi, evitando ritardi ingiustificati e tutelando il diritto alla giustizia dei soggetti coinvolti.
La ripresa del processo sulla fase esecutiva della strage di Piazza della Loggia, un capitolo doloroso della storia italiana, insieme agli altri dibattimenti cruciali di fronte alla Corte d’Assise presieduta da Spanò – i processi Cheema, Fontana, Delai e il procedimento a carico di Roberto Zorzi – costituisce un atto di responsabilità verso le vittime, i loro familiari e la collettività.
Il caso Spanò, inoltre, apre un interrogativo più ampio sulla gestione delle situazioni delicate che possono coinvolgere i magistrati e le loro famiglie, e sull’equilibrio tra la necessità di tutelare l’indipendenza e l’imparzialità del giudice e quella di garantire trasparenza e fiducia nelle istituzioni.
La decisione del CSM e la successiva conferma da parte del Tribunale di Brescia, rappresentano un tentativo di bilanciare questi principi, affermando che, in determinate circostanze, un giudice può continuare a esercitare le sue funzioni anche quando si trovano a coesistere legami professionali all’interno del sistema giudiziario.
Il dibattito, tuttavia, rimane aperto, e il caso potrebbe fornire spunti di riflessione per un’eventuale revisione delle normative in materia di incompatibilità dei magistrati.