La vicenda di Diana, la bambina di 18 mesi spirata in circostanze terribili in una abitazione milanese, solleva interrogativi profondi e dolorosi sul rapporto tra genitorialità, responsabilità e condizioni psichiatriche.
La sostituta procuratrice Lucilla Tontodonati, nella sua requisitoria di appello contro Alessia Pifferi, ha delineato con chiarezza la gravità della condotta omissiva, sottolineando come la sofferenza della piccola sia stata prolungata per quasi sei giorni, in un caldo torrido di luglio, privandola delle cure e dell’attenzione essenziali per la sua sopravvivenza.
Il caso non si riduce a un atto violento e impulsivo, come un gesto di aggressione fisica.
Si tratta di un’omissione, un silenzio colpevole che ha permesso alla vita di una creatura indifesa di spegnersi lentamente, in un ambiente soffocante e isolato.
Questa peculiarità rende la vicenda particolarmente ardua da metabolizzare a livello emotivo e concettuale.
La mente umana fatica a comprendere come una persona dotata di piena capacità di intendere e volere possa deliberatamente scegliere di abbandonare un figlio in condizioni così disumane.
L’istinto primario di protezione e cura, profondamente radicato nella natura umana, sembra essere stato completamente soppresso, dando spazio a un comportamento aberrante che ha negato alla bambina il diritto fondamentale alla vita.
La tentazione di etichettare la Pifferi come “folle,” come forma di distanziamento psicologico e per alleggerire il peso della responsabilità, è stata più volte sollevata.
Tuttavia, le perizie psichiatriche disposte dall’autorità giudiziaria, unitamente alle consulenze di parte, hanno escluso una compromissione psichiatrica che possa esonerare la donna dalla sua responsabilità penale.
La vicenda di Diana non è solo un tragico episodio singolo, ma riflette un problema sociale più ampio, che riguarda la fragilità di alcune figure genitoriali, la difficoltà di gestire lo stress e le difficoltà emotive, e la mancanza di supporto adeguato per le famiglie in difficoltà.
Il caso pone interrogativi sull’efficacia dei servizi sociali, sulla prevenzione della maltrattanza infantile e sulla necessità di un intervento precoce per sostenere le famiglie vulnerabili e proteggere i bambini a rischio.
La giustizia, in questo contesto, deve non solo accertare la responsabilità penale, ma anche promuovere una riflessione profonda sulle cause del dramma e adottare misure concrete per evitare che simili tragedie si ripetano.
La memoria di Diana deve essere un monito costante per la società, spingendola a prendersi cura dei suoi membri più fragili e a garantire a ogni bambino il diritto a una vita dignitosa e sicura.








