domenica, 20 Luglio 2025
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Evasione a Bollate, nuove ombre sul modello penitenziario aperto

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La recente evasione dal carcere di Bollate, relativa a un detenuto usufruente del regime di lavoro esterno, ha riacceso il dibattito sulla complessità delle pene alternative e sul significato stesso del modello penitenziario “aperto”, incarnato dall’istituto milanese. L’episodio si aggiunge a una spirale di eventi drammatici, culminata con la tragica vicenda di Emanuele De Maria, fuggito il 9 maggio e deceduto l’11 maggio a seguito di un suicidio spettacolare dal Duomo di Milano, dopo aver commesso un omicidio e tentato un altro.La vicenda De Maria, purtroppo, ha proiettato il tema della pena alternativa e del lavoro esterno in un vortice di polemiche e interrogativi profondi. Il lavoro esterno, concepito come strumento di reinserimento sociale e professionale, rischia di trasformarsi in una falla del sistema se non adeguatamente monitorato e gestito. La sua efficacia dipende non solo dalla disponibilità di opportunità lavorative concrete, ma anche da una valutazione accurata del rischio di recidiva e dalla capacità di fornire un supporto psicologico e sociale continuo al detenuto.L’incidente di Bollate, a distanza di poco tempo dalla tragedia di De Maria, solleva interrogativi cruciali sulla capacità del sistema penitenziario di bilanciare la necessità di umanizzare la pena con l’imperativo di garantire la sicurezza pubblica. Non si tratta di rinnegare l’idea di una pena alternativa, ma di ripensarne le modalità di applicazione e di implementazione, rafforzando i controlli e ottimizzando i protocolli di sorveglianza.Il modello “aperto” di Bollate, con la sua enfasi sull’autonomia del detenuto e sulla sua responsabilità, deve essere rivisto alla luce di queste drammatiche vicende. La fiducia riposta nella capacità del detenuto di rispettare le regole, sebbene fondamentale, deve essere temperata da un’attenta valutazione del rischio e da un sistema di controlli efficiente e trasparente. La necessità di un approccio multidisciplinare, che coinvolga operatori sociali, psicologi, educatori e forze dell’ordine, è più che mai evidente. Un’analisi approfondita delle cause che portano alla violazione delle regole, sia essa dovuta a fragilità personali, difficoltà di reinserimento o mancanze nel sistema di supporto, è essenziale per prevenire future tragedie.Il dibattito non deve limitarsi a un generico ripensamento del lavoro esterno, ma deve estendersi alla valutazione complessiva del sistema penitenziario italiano, con particolare attenzione alla formazione del personale, alla gestione del sovraffollamento carcerario e all’offerta di programmi di riabilitazione efficaci. Il fallimento del sistema non è solo una questione di sicurezza, ma anche una profonda ferita alla giustizia e alla dignità umana. La memoria delle vittime, De Maria in primis, impone un impegno costante e rinnovato per un sistema penitenziario più giusto, sicuro e capace di offrire una vera opportunità di redenzione.

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