Nel crepuscolo di un giovedì, Elia Del Grande, l’uomo che nel gennaio del 1998 aveva perpetrato una delle più efferate vicende di cronaca nera nella tranquilla Cadrezzate (Varese), ha ingaggiato una nuova, audace fuga dalla sua residenza protetta di Castelfranco Emilia (Modena).
La sua evasione, un’operazione pianificata con precisione, si è materializzata attraverso l’utilizzo di una corda improvvisata, presumibilmente ricavata da cavi elettrici o recuperata da un cantiire edile, legata al palo di una telecamera di sorveglianza.
La fuga, come un macigno che si infrange sulla quiete, è stata immortalata da una telecamera, generando un video ora al centro dell’attenzione delle forze dell’ordine.
La sua scomparsa ha innescato un’operazione di ricerca su vasta scala, che coinvolge diverse aree geografiche e mette in luce la complessità del quadro investigativo.
Le indagini si concentrano su diverse piste, che spaziano dalle immediate vicinanze del luogo dell’evasione – il modenese – al Varesotto, terra natale dell’uomo, teatro nel ’98 di quella che venne definita la “strage dei fornai”, un evento traumatico che segnò la sua esistenza e che, in parte, ne ha determinato il percorso successivo.
Un’altra area di interesse è la Sardegna, dove Del Grande aveva trovato rifugio al termine della sua pena detentiva, suggerendo un possibile tentativo di ricostruzione della propria identità lontano dai riflettori mediatici.
Il lavoro degli inquirenti si avvale dell’analisi meticolosa di immagini di sorveglianza e dell’interrogatorio di potenziali testimoni, nella speranza di ricostruire le mosse dell’evaso e di anticiparne le intenzioni.
La figura della compagna, elemento cruciale nell’indagine, desta particolare attenzione.
L’ipotesi di un coinvolgimento attivo nella pianificazione della fuga, precedentemente tentata nel 2015 dal carcere di Pavia, alimenta sospetti e concentra le risorse investigative.
La sua recente visita alla residenza protetta, appena giorni prima dell’evasione, solleva interrogativi sul ruolo che potrebbe aver avuto nell’evento e sulla sua conoscenza delle dinamiche interne alla struttura.
L’evasione di Del Grande non è soltanto una violazione della libertà vigilata, ma apre una profonda riflessione sulla gestione dei soggetti ad alta pericolosità sociale, sulla necessità di rafforzare i sistemi di monitoraggio e sulla complessità di integrare individui che hanno commesso crimini efferati nella società.
Il caso riaccende il dibattito sulla riabilitazione, sulla sicurezza e sulla responsabilità collettiva nel fronteggiare l’ombra del passato.








