La scomparsa di Giuseppe Salvo, figura apicale della criminalità catanese, avvenuta l’8 settembre in un ospedale lombardo, segna la conclusione di una vita intessuta di violenza, alleanze mutevoli e un’eredità criminale che si perpetua tra le nuove generazioni.
Soprannominato “Pippo ‘u carruzzeri”, un appellativo legato alla sua attività di carrozziere ereditata e tramandata in famiglia, Salvo, nato a San Cristoforo di Catania nel 1949, rappresenta un capitolo oscuro nella storia della mafia catanese.
L’ascesa di Salvo nel panorama criminale si colloca negli anni ’70, un periodo di profonda frattura all’interno della struttura di Cosa Nostra etnea, tradizionalmente dominata dalla figura di Nitto Santapaola.
In questo contesto di scontro, Salvo aderì a un consorzio antagonista, un’azione che lo proiettò nel ruolo di figura di riferimento all’interno del clan Savasta, guidato da Antonino Puglisi.
Questo periodo fu segnato da una spirale di violenza che colpì direttamente Salvo, vittima di due attentati mirati, sopravvissuti per miracolo.
La sua carriera criminale fu caratterizzata da un’incessante ricerca di potere e di alleanze strategiche, che lo portarono ad abbandonare il clan Savasta per legarsi inizialmente a Salvatore “Turi” Pillera e successivamente a Salvatore “Turi” Cappello, figure di spicco della criminalità organizzata catanese.
Questo percorso di cambi di schieramento, sebbene vantaggioso in termini di potere e influenza, non lo risparmiò da ulteriori episodi di violenza, culminati in un terzo attentato nel 1989.
L’arresto di Salvo nel 1990, nell’ambito di un’operazione che coinvolse anche esponenti politici, mise fine a un periodo di intensa attività criminale, ma non spezzò il legame tra la sua famiglia e l’organizzazione mafiosa.
L’eredità criminale di Giuseppe Salvo è stata assunta dai suoi figli, Giampiero e Massimiliano.
La recente missiva di Giampiero Salvo al giudice minorile Roberto Di Bella, con cui tentava di dissociare la sua figura dal clan Cappello, testimonia la complessità delle dinamiche familiari e la volontà di riabilitazione, seppur tardiva.
Massimiliano Salvo, invece, figura di spicco del clan Cappello, è attualmente detenuto al regime di isolamento del 41bis, simbolo della sua pericolosità e del suo ruolo centrale nell’organizzazione.
La morte di Giuseppe Salvo, seguita dall’ordinanza di autopsia disposta dalla procura milanese, chiude un capitolo, ma lascia aperte numerose questioni relative alle sue attività, alle sue relazioni e all’impatto della sua scomparsa sull’attuale assetto della criminalità organizzata catanese.
La vicenda sottolinea, ancora una volta, la necessità di proseguire con rigore l’azione di contrasto alla mafia, non solo attraverso l’azione repressiva, ma anche attraverso interventi sociali ed educativi volti a spezzare il ciclo della criminalità e a proteggere le nuove generazioni.