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L’assoluzione non basta: il peso dello stigma.

Il peso di un’assoluzione può rivelarsi più gravoso della stessa condanna.

Questa constatazione, amara e profonda, emerge dalle parole di Raffaele Sollecito, testimonianza diretta di un’ingiustizia che, anche dopo la definitiva riabilitazione legale, lascia cicatrici indelebili nell’animo e nella percezione sociale.
Il caso Meredith Kercher, un macigno che ha segnato la sua esistenza, non si conclude con una sentenza, ma si perpetua nel giudizio latente, nel sospetto che ancora aleggia, nell’etichetta che si rivela più ostinata della verità.
Sollecito, attraverso un video condiviso su TikTok e ripreso da Repubblica, non si limita a ripercorrere la sua esperienza, ma la proietta su un terreno più ampio, quello della vulnerabilità di chi, ingiustamente accusato, si ritrova a navigare in un mare di pregiudizi.

Fa riferimento al caso Garlasco, un parallelo inquietante che sottolinea come la velocità nel condannare possa schiacciare l’innocenza, mentre la prudenza e il dubbio sono spesso sacrificati sull’altare della necessità di trovare un colpevole.
Il percorso giudiziario è stato un labirinto di accuse, condanne in primo grado, assoluzioni in appello, annullamenti e nuovi processi.
Mentre Rudy Guede ha scontato la pena per l’omicidio di Meredith, Sollecito e Amanda Knox hanno vissuto un incubo legale che ha esteso la loro sofferenza ben oltre le sbarre.
La Suprema Corte ha infine sancito la loro innocenza, ma la sentenza non ha cancellato la percezione distorta che molti conservano.
“Il marchio che mi porto addosso non è una colpa, è uno stigma,” dichiara Sollecito, esprimendo la frustrazione di chi si sente costretto a una continua auto-difesa.

L’apparente ipersensibilità verso alcune forme di offesa, contrapposta all’indifferenza verso la distruzione della vita di un innocente, rivela una profonda disfunzione nel sistema di valori sociale.
Ogni interazione quotidiana diventa un banco di prova, un tentativo di colmare il divario tra l’identità reale e l’immagine distorta proiettata dagli altri.
L’episodio pone un interrogativo cruciale: è possibile ripristinare la reputazione di chi è stato ingiustamente accusato? La responsabilità non ricade solo sul sistema giudiziario, ma sull’intera società, chiamata a superare i pregiudizi e a riconoscere la fragilità dell’innocenza.
L’assoluzione legale è solo il primo passo verso una vera e propria riabilitazione, un processo che richiede empatia, comprensione e, soprattutto, la capacità di guardare oltre le etichette e le accuse, per vedere la persona che si cela dietro di esse.
Il silenzio complice delle ombre e il peso delle apparenze sono fardelli che si portano con sé anche dopo aver varcato il portone della libertà.

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