Il caso di Marco Toffaloni, figura centrale nel complesso e doloroso capitolo della strage di Piazza della Loggia del 1974, si è riaperto con un ricorso in appello volto a contestare la sentenza di primo grado che lo condannava a trent’anni di reclusione come presunto esecutore materiale.
La vicenda, già di per sé gravissima per l’adolescenza del ragazzo nel 1974, si rivela ancora più intricata se consideriamo le fragilità intrinseche all’apparato probatorio a suo carico.
La difesa di Toffaloni solleva dubbi di fondamentale importanza, concentrandosi principalmente sulla fotografia scattata immediatamente dopo la strage, immagine che i giudici di primo grado avevano interpretato come una prova inoppugnabile dell’identificazione del giovane.
Tuttavia, l’avvocato mette in luce come la perizia fotografica stessa non avesse mai espresso una certezza assoluta, ma si fosse limitata a ipotizzare una “probabile” identificazione.
Questa sottile, ma cruciale, differenza mette in discussione il peso che l’immagine ha avuto nella decisione di condanna.
Al di là della fotografia, l’assenza di riscontro testimoniale robusto costituisce un elemento di profonda incertezza.
Di undici testimoni escussi, ben dieci non sono riusciti a riconoscere in Marco Toffaloni la figura dell’uomo presente sulla piazza durante gli eventi tragici.
Questa mancata identificazione, di fronte a una pluralità di testimonianze, erige un muro di sospetti sulla validità della ricostruzione accusatoria.
L’appello non si limita a contestare la validità delle prove dirette, ma interroga anche i presupposti logici e interpretativi che hanno guidato la valutazione complessiva.
La sentenza di primo grado, infatti, sembra aver trascurato il principio fondamentale del dubbio ragionevole, che impone l’assoluzione quando la colpevolezza non può essere provata al di là di ogni ragionevole dubbio.
Il caso Toffaloni si configura, pertanto, come un’occasione per la giustizia di confrontarsi con le proprie responsabilità, esaminando con rigore critico l’accumulo di elementi che hanno portato a una condanna così pesante, e valutando se la ricostruzione degli eventi, basata su prove deboli e contraddittorie, sia in grado di resistere a un esame approfondito in sede d’appello.
La vicenda solleva interrogativi fondamentali sulla fragilità della memoria collettiva, la difficoltà di ricostruire con precisione gli eventi traumatici e il rischio di errori giudiziari in contesti di forte tensione emotiva e politica.
L’appello rappresenta, in ultima analisi, una speranza di rivalutazione della verità storica e di tutela della dignità di un giovane uomo ingiustamente accusato.