Nel tragico scenario di Martinengo, la vicenda di Caryl Menghetti, 46 anni, si è conclusa con una sentenza che ha sollevato complesse riflessioni sul rapporto tra responsabilità individuale, disturbi psichiatrici e giustizia. La donna, accusata dell’omicidio del marito Diego Rota, avvenuto nella notte tra il 25 e il 26 gennaio 2024, è stata assolta dalla Corte d’Assise di Bergamo, ritenuta totalmente incapace di intendere e volere al momento del fatto. La decisione, lungi dall’essere una liberazione, si è tradotta in una misura di sicurezza: la permanenza, per un periodo minimo di nove anni, in una Residenza per l’Esecuzione della Pena di Salute Mentale (REMS). Questa scelta enfatizza la priorità della cura e della riabilitazione rispetto alla punizione detentiva, riconoscendo la gravità delle condizioni psichiatriche che hanno condotto alla tragedia.La ricostruzione degli eventi, presentata in aula dalla Procura, ha delineato un quadro preoccupante. Già nelle prime ore del 24 gennaio, Caryl Menghetti aveva manifestato segni di profonda alterazione psichica, culminati in comportamenti agitati e discorsi sconnessi, incentrati sulla necessità di proteggere la figlia minore. La gravità del quadro clinico aveva portato al ricoverno ospedaliero, con il marito che aveva deciso, contro parere medico, di favorirne le dimissioni e il ritorno a casa. La prescritta terapia farmacologica, a quanto pare, non venne scrupolosamente seguita, circostanza che ha contribuito ad aggravare il quadro clinico.Il giorno successivo, la donna avrebbe dovuto sottoporsi a una visita psichiatrica di controllo, un appuntamento cruciale che, tragicamente, non si è concretizzato. La notte successiva, l’episodio fatale: l’accoltellamento che ha posto fine alla vita di Diego Rota.L’assoluzione con rito abbreviato e la conseguente misura di sicurezza sollevano interrogativi complessi. L’evento mette in luce le fragilità del sistema di supporto per individui con disturbi mentali, evidenziando la necessità di un monitoraggio più efficace e di un maggiore coinvolgimento dei familiari nel percorso terapeutico. La vicenda, oltre a rappresentare una perdita irreparabile per la famiglia Rota e Menghetti, si configura come un monito sulla delicatezza del confine tra malattia mentale e responsabilità penale, e sulla prioritaria necessità di garantire cure adeguate per prevenire simili tragedie. Il caso sottolinea, inoltre, la complessità dell’interpretazione forense delle condizioni psichiatriche, richiedendo una profonda competenza e un’analisi dettagliata per determinare la capacità di intendere e volere in situazioni di profonda alterazione mentale.
Martinengo, Caryl Menghetti Assolta: tra Salute Mentale e Giustizia
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