Il verdetto della Corte d’Appello di Milano, che conferma 13 condanne a quattro mesi di reclusione per militanti di estrema destra, si radica in un complesso dibattito giuridico e storico che interseca memoria, ordine pubblico e valori costituzionali.
Le condanne, derivanti da una manifestazione commemorativa del 29 aprile 2018, legata al ricordo di Sergio Ramelli, figura tragica del Fronte della Gioventù caduta a seguito di un atto violento perpetrato da Avanguardia Operaia nel 1975, solleva questioni di profonda rilevanza per la comprensione dei limiti all’espressione ideologica in una democrazia.
La decisione, supportata dalla sostituta procuratore Olimpia Bossi, non si limita a una valutazione del singolo evento, ma si inquadra in un’interpretazione evolutiva della legalità, profondamente influenzata da una recente sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione.
Questa sentenza, punto cardine della decisione milanese, ha ridefinito la natura di tali manifestazioni, deprivandole del carattere meramente commemorativo.
L’interpretazione giurisprudenziale ora vigente le considera, invece, potenziali fattori di destabilizzazione dell’ordine costituzionale, soprattutto quando si manifestano con una massa di persone organizzate in maniera simile a formazioni paramilitari, evocando simbolicamente un’epoca di violenza politica e sfidando, implicitamente, i principi democratici.
La questione centrale non riguarda, quindi, la legittimità del ricordo di Sergio Ramelli, che rimane un diritto costituzionalmente tutelato.
Il punto critico risiede nella modalità con cui questo ricordo viene esplicitato e rappresentato pubblicamente.
La presenza di schieramenti organizzati, l’utilizzo di simbologie potenzialmente evocative di regimi autoritari, e l’esibizione di gesti, come il saluto romano, che storicamente sono stati associati a ideologie antitetiche ai valori repubblicani, vengono ora valutati alla luce del loro impatto sull’ordine pubblico e sulla percezione di sicurezza nella collettività.
La sentenza della Corte d’Appello di Milano, pertanto, non rappresenta un’imposizione di un’unica narrazione storica, né una limitazione della libertà di espressione in sé.
Si tratta, piuttosto, di un tentativo di bilanciare il diritto alla memoria con la necessità di garantire la salvaguardia dei principi costituzionali, in particolare la tutela della democrazia e la prevenzione di atti di propaganda che possano incitare all’odio, alla violenza o alla discriminazione.
Il dibattito in corso riflette una tensione intrinseca all’interno delle società democratiche: come gestire il peso del passato, onorare le vittime di violenze, e, al contempo, impedire che il ricordo diventi strumento di rivendicazione ideologica o di destabilizzazione politica.
La decisione milanese, pertanto, apre a una riflessione più ampia sulla responsabilità che accompagna l’esercizio dei diritti fondamentali, e sulla necessità di una costante vigilanza per preservare i valori fondanti della Repubblica.




