La recente polemica sollevata dal Ministro della Giustizia Carlo Nordio in merito al caso Garlasco e alla successiva riformazione di una sentenza di assoluzione ha innescato un acceso dibattito sulla corretta applicazione del principio “oltre ogni ragionevole dubbio” nel sistema giudiziario italiano. La reazione del segretario dell’Associazione Nazionale Magistrati, Rocco Maruotti, interviene per chiarire una questione di fondamentale importanza per il corretto funzionamento della giustizia.L’obiezione sollevata da Nordio, sostanzialmente, sembra suggerire che una precedente assoluzione possa costituire un impedimento alla successiva revisione di una sentenza. Questa prospettiva, sebbene comprensibile nel contesto di un caso particolarmente delicato e mediatico come quello di Garlasco, presenta delle criticità intrinseche che meritano un’analisi più approfondita.In primo luogo, è imperativo ricordare che l’assoluzione non rappresenta una verità assoluta e incontrovertibile. Costituisce, piuttosto, l’esito di un giudizio che, in quel preciso momento processuale, non ha permesso di superare il limite di ragionevolezza richiesto per la condanna. Il principio “oltre ogni ragionevole dubbio” non è un mero ostacolo burocratico, bensì un pilastro fondamentale per la tutela dei diritti dell’imputato. Richiede un grado di certezza particolarmente elevato, che deve derivare da prove solide e inconfutabili.La riforma di una sentenza di assoluzione, pertanto, non dovrebbe essere percepita come un’anomalia o una violazione di un diritto acquisito. Al contrario, deve essere interpretata come la manifestazione di una nuova valutazione delle prove, magari alla luce di elementi emergenti successivamente al primo giudizio, o grazie a una diversa interpretazione degli stessi. Impedire la revisione di una sentenza di assoluzione significherebbe, di fatto, congelare il giudizio in una decisione potenzialmente viziata, negando la possibilità di accertare la verità materiale dei fatti.Il rischio di una tale impostazione è quello di creare un effetto deterrente per le indagini e le attività di accusa, scoraggiando la ricerca della verità e favorendo l’impunità di colpevoli. Inoltre, alimenterebbe la sfiducia nell’apparato giudiziario, percepito come incapace di correggere i propri errori.È fondamentale che il principio del “burden of proof” (onere della prova) sia applicato correttamente, garantendo che sia l’accusa a dimostrare la colpevolezza dell’imputato con la massima certezza, e non viceversa. La riforma di una sentenza di assoluzione, quindi, deve avvenire solo in presenza di elementi nuovi e rilevanti, che possano seriamente inficiare la precedente valutazione delle prove, e sempre nel rispetto del contraddittorio e del diritto di difesa.In definitiva, la polemica sollevata nel caso Garlasco deve rappresentare un’occasione per riflettere sull’importanza di preservare l’equilibrio tra i principi costituzionali del diritto di difesa e del diritto di accertare la verità, evitando derive che possano compromettere la credibilità e l’efficacia del sistema giudiziario italiano. La garanzia di un giusto processo non può dipendere da pregiudizi o preconcetti, ma solo da una rigorosa applicazione delle regole processuali e dalla ricerca costante della verità materiale.
Nordio e Garlasco: la polemica sul oltre ogni ragionevole dubbio
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