La vicenda che riguarda la tragica scomparsa di Chiara Poggi, al centro di una complessa indagine giudiziaria a Pavia, assume nuove e delicate sfumature grazie agli accertamenti irripetibili condotti dalla perizia di Denise Albani, incaricata dal giudice per le indagini preliminari Daniela Garlaschelli.
L’attenzione si concentra ora sull’enigmatico profilo genetico maschile, identificato come “profilo ignoto 3” su una garza impiegata durante le prime operazioni di prelievo di materiale biologico dalla bocca della vittima, un reperto di cruciale importanza per ricostruire la dinamica dell’omicidio.
La perizia ha escluso, con rigore scientifico, la possibilità che tale profilo sia il risultato di una contaminazione successiva, legata alla manipolazione del reperto nelle settimane precedenti l’analisi.
Per arrivare a tale conclusione, la genetista ha proceduto a un confronto diretto e meticoloso del DNA maschile isolato dalla garza con i profili genetici di tutti coloro che hanno avuto accesso diretto al campione all’interno del laboratorio forense.
Questo gruppo comprendeva i collaboratori di Denise Albani, il consulente della difesa di Andrea Sempio, Luciano Garofano, e l’esperto nominato dalla famiglia Poggi, Marzio Capra.
A ciascuno di questi soggetti è stato prelevato un tampone per escludere qualsiasi potenziale fonte di “inquinamento” del campione.
Un elemento significativo è rappresentato dall’assenza di un controllo analogo per i consulenti legali di Alberto Stasi, che hanno assistito alle operazioni attraverso una vetrata, mantenendo una distanza fisica che escludeva il contatto diretto con il reperto.
Questa distinzione solleva interrogativi sulla completezza del protocollo di controllo delle possibili fonti di contaminazione.
Le indagini ora si estendono a un ventaglio più ampio di soggetti potenzialmente coinvolti nella catena di custodia del corpo e dei relativi campioni biologici.
Denise Albani, al suo rientro dalle ferie precedentemente programmate, procederà a comparare il profilo genetico ignoto 3 con i profili di coloro che hanno partecipato alla fase autoptica, in particolare i fotografi forensi e gli assistenti del medico legale Marco Ballardini.
L’infermiere responsabile della preparazione del corpo, la cui impronta genetica era già stata identificata sulla garza, rappresenta un ulteriore focus di indagine, a causa della natura non sterile del materiale utilizzato e della potenziale esposizione a contaminazioni accidentali.
La garza non sterile, infatti, introduce un elemento di complessità che richiede un’analisi estremamente accurata per distinguere il DNA rilevante per l’indagine da quello di possibili contaminanti ambientali o accidentali.
La vicenda sottolinea l’importanza di protocolli rigorosi nella gestione dei reperti biologici in contesti forensi, e la delicatezza nell’interpretazione dei risultati genetici, elementi cruciali per garantire la validità delle prove e la corretta ricostruzione degli eventi che hanno portato alla morte di Chiara Poggi.
L’esclusione della contaminazione recente rappresenta un passo importante, ma la ricerca della verità continua, con l’obiettivo di identificare con certezza l’autore del tragico atto e di restituire giustizia alla famiglia Poggi.