Un’operazione congiunta della Polizia di Stato ha portato all’arresto di otto individui, sette italiani e un cittadino serbo, accusati di aver perpetrato due colpi ad alto impatto emotivo e finanziario ai danni di un laboratorio orafo a Milano e di una gioielleria a Bollate, nel milanese.
L’attività d’indagine, condotta dalla Squadra Mobile della Questura di Milano, ha svelato un piano elaborato, caratterizzato dall’abile utilizzo di una tattica ingannevole: i malviventi si spacciavano per agenti della Polizia Locale, sfruttando l’autorità percepita dall’uniforme per intimidire le vittime e neutralizzare la resistenza.
La dinamica dei due episodi, consumatisi rispettivamente il 23 febbraio e il 21 marzo 2024, rivela una premeditazione meticolosa.
Nel primo caso, nel laboratorio orafo in via Lodovico il Moro, i rapinatori, mascherati e vestiti con abiti e distintivi della Polizia Locale, inscenarono un finto arresto di un complice in borghese per distrarre il titolare.
Un quinto uomo fungeva da “palo”, monitorando l’area circostante.
Una volta all’interno, brandirono una pistola, immobilizzarono il titolare e la sua dipendente legandogli i polsi con fascette da elettricista, e sottoposero i presenti al loro controllo, confiscando anche il telefono cellulare della vittima.
Il bottino, stimato in circa 100.000 euro, comprendeva oro grezzo e manufatti preziosi.
La fuga fu preceduta dalla reclusione delle vittime all’interno del laboratorio, sigillandone l’accesso.
La seconda rapina, perpetrata a Bollate, presentava modalità estremamente simili, evidenziando la professionalità e la coerenza del gruppo criminale.
Anche in questo caso, i rapinatori, fingendosi agenti di Polizia Locale, immobilizzarono le vittime, prelevando contanti e gioielli per un valore complessivo di circa 45.000 euro.
Il bagno della gioielleria fu utilizzato come improvvisata prigione per le vittime, prima che i malviventi potessero dileguarsi.
L’indagine, complessa e articolata, si è avvalsa dell’analisi forense delle immagini riprese dalle telecamere di sorveglianza dei dintorni dei luoghi colpiti.
Elemento cruciale per l’identificazione dei responsabili è stata la ricostruzione dei collegamenti tra i vari soggetti coinvolti attraverso l’acquisizione e l’interpretazione di tabulati telefonici, intercettazioni autorizzate e attività di appostamento.
Le accuse contestate ai destinatari dei provvedimenti restrittivi includono rapina aggravata, sequestro di persona aggravato, porto illegale di armi, possesso abusivo di segni distintivi di pubbliche funzioni e ricettazione, riflettendo la gravità dei reati commessi e la complessità dell’organizzazione criminale smantellata.
La vicenda pone l’accento sulla necessità di vigilanza costante e di strategie di prevenzione mirate a contrastare l’utilizzo improprio di simboli di autorità per la commissione di reati.