Il rapporto tra Patrizia Reggiani, figura controversa legata al delitto di Maurizio Gucci, e Loredana Canò, ex compagna di detenzione divenuta poi sua figura chiave nella gestione del patrimonio, costituisce l’epicentro di un intricato processo giudiziario a Milano.
Le motivazioni della sentenza, recentemente depositate, delineano il ruolo di Canò, condannata a 6 anni e 4 mesi per circonvenzione di incapace e peculato, come colui che, con una subdola progressività, ha assunto un controllo quasi totale sulla vita e le proprietà di Reggiani.
La dinamica si è sviluppata in una fase cruciale: dopo l’uscita di Reggiani dal carcere, Canò ha inizialmente condiviso la sua ritrovata agiatezza per poi, in seguito al decesso della madre di Reggiani, Silvana Barbieri, trasformarsi in una sorta di alter ego, erodendo progressivamente l’autonomia della donna.
Questa trasformazione non è avvenuta isolatamente.
Canò, in sinergia con Marco Chiesa, un tempo consulente finanziario di Barbieri, e con l’avvocato e amministratore di sostegno Daniele Pizzi, ha orchestrato una sostituzione sistematica della rete familiare e sociale di Reggiani.
Il risultato è stata la creazione di un nuovo sistema di relazioni, funzionale a consolidare il controllo economico e decisionale su Reggiani.
La sentenza sottolinea come, a causa di una preesistente patologia psichica, Patrizia Reggiani fosse priva della capacità di gestire autonomamente il suo patrimonio.
Questa vulnerabilità è stata abilmente sfruttata da Canò, che ha manipolato la situazione per instaurare un regime di completa dipendenza.
La magistratura ha accolto le accuse formulate dagli inquirenti del Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf, e dalle procure Tiziana Siciliano e Michela Bordieri, evidenziando come l’abilità manipolatoria di Canò si sia manifestata nell’indurre Reggiani a inimicarsi le proprie figlie, consolidando così il suo potere all’interno della sfera personale e finanziaria della donna.
Le denunce presentate dalle figlie di Reggiani, Alessandra e Allegra, hanno dato il via all’inchiesta che ha portato a questo processo.
La Procura ha sostenuto, e la sentenza ha confermato, che Canò ha deliberatamente approfittato della condizione di fragilità di Reggiani per instaurare un controllo pervasivo, gestendo ogni aspetto della sua vita, dai rapporti esterni all’amministrazione del patrimonio, fino alla scelta dell’amministratore di sostegno.
Il caso rivela un quadro complesso di manipolazione, sfruttamento della vulnerabilità psichica e abuso di fiducia, con implicazioni significative per la gestione di patrimoni in situazioni di debolezza e dipendenza.