La vicenda giudiziaria che coinvolge Riccardo Bossi, primogenito del fondatore della Lega Nord, Umberto Bossi, si arricchisce di un capitolo doloroso, segnando un’ulteriore spirale di problematiche legali che ne offuscano la figura. La sentenza di primo grado emessa dal tribunale di Varese, che lo condanna a un anno e quattro mesi di reclusione per maltrattamenti nei confronti della madre, solleva interrogativi profondi sulle dinamiche familiari e sulle responsabilità individuali, in un contesto delicato e mediatico.Il processo, focalizzato su eventi datati al 2016, si è sviluppato con la costante assenza dell’imputato in aula, difeso dall’avvocato Federico Magnante, il quale ha immediatamente preannunciato l’intenzione di presentare appello. La peculiarità del caso risiede nella denuncia avanzata dalla madre, successivamente ritrattata, un gesto che, pur attenuando la gravità percepita, non ha impedito l’apertura del procedimento per maltrattamenti, in virtù del principio della procedibilità d’ufficio. La remissione della querela ha, di fatto, estinto l’accusa specifica di minacce, lasciando però inalterata quella relativa ai maltrattamenti.La Procura, nel delineare l’accusa, ha ricostruito un quadro di pressioni economiche insistenti e reiterate nei confronti della madre, accompagnate da esplosioni di ira che, secondo la ricostruzione accusatoria, avrebbero portato a comportamenti violenti. Tra gli episodi contestati figurano la coercizione per ottenere denaro, culminata in episodi di aggressione fisica: l’imputato avrebbe, in un’occasione, causato alla donna una contusione sbattendola contro il muro. Un altro episodio, caratterizzato da insulti e un clima di tensione palpabile, avrebbe spinto la madre a fuggire dalla sua abitazione, un gesto disperato per sottrarsi a un rapporto divenuto insostenibile. Bossi, durante il processo, ha sempre negato le accuse, contestando fermamente le ricostruzioni presentate dalla Procura.Questa sentenza si aggiunge a una precedente condanna, inflitta a gennaio dello stesso anno, quando il Gup del tribunale di Busto Arsizio lo ha riconosciuto colpevole, con rito abbreviato, di indebito percepimento del reddito di cittadinanza, comminando una pena di due anni e sei mesi. Le motivazioni di tale decisione sono ancora in attesa di essere depositate, entro un termine di novanta giorni, e potrebbero fornire ulteriori elementi per comprendere le circostanze che hanno portato a questa serie di problematiche legali. La vicenda solleva, inevitabilmente, interrogativi sulla gestione delle risorse finanziarie, sulla fragilità delle relazioni familiari e sulle conseguenze di comportamenti che ledono la dignità e il benessere di una persona.
Riccardo Bossi condannato: maltrattamenti sulla madre e nuove ombre legali
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