L’inerzia, l’abitudine passiva di delegare responsabilità, è un terreno fertile per la complice accettazione di un mondo che potremmo e dovremmo cambiare.
Richard Gere, figura iconica non solo per la sua carriera artistica, ma anche per il suo impegno civico, lo ha espresso con chiarezza, di fronte alle telecamere durante un evento a Milano.
La sua riflessione, innescata dalla discussione sulla Global Sumud Flotilla diretta a Gaza, trascende il singolo evento per toccare una questione di principio: la necessità imprescindibile dell’azione individuale.
Non si tratta di un dovere bucolico o idealistico, bensì di una presa di coscienza pragmatica.
Ogni silenzio, ogni passivo assentimento, contribuisce a legittimare lo *status quo*, a solidificare le dinamiche di potere che generano disuguaglianze e sofferenze.
La responsabilità, quindi, non può essere scaricata su altri, né tantomeno relegata a un gesto simbolico.
Richiede un impegno attivo, una capacità di discernimento che permetta di identificare le ingiustizie e di opporsi, quando necessario, con coraggio e determinazione.
Gere non invita a un attivismo indiscriminato, ma a una selezione ponderata di azioni, guidata da principi di generosità, intelligenza e, soprattutto, lungimiranza.
Il sostegno a chi si dedica a cause nobili non è un atto di mera beneficenza, ma un investimento nel futuro che desideriamo costruire.
Un futuro che, senza l’intervento consapevole di individui responsabili, rischia di perpetuare le stesse problematiche che cerchiamo di risolvere.
L’affermazione finale, apparentemente lapidaria, racchiude una verità scomoda: il mondo che abitiamo è il risultato diretto delle nostre scelte, delle nostre omissioni.
Non possiamo lamentare le conseguenze senza assumerci la responsabilità di averle, in qualche misura, contribuite a generare.
La Global Sumud Flotilla, come ogni azione volta a sollevare questioni cruciali, diventa uno specchio che riflette la nostra capacità di agire, di dissentire, di scegliere un percorso diverso.
E in questo riflesso, ritroviamo l’immagine del mondo che, consapevolmente o meno, abbiamo scelto di abitare.