Il Ferragosto a San Vittore ha svelato un quadro agghiacciante, una fotografia impietosa di un sistema penitenziario al collasso, dove la dignità umana è stata erosa fino a scomparire.
Le celle, inadeguate per una sola persona, ospitano tre, quattro detenuti, creando un sovraffollamento che supera il doppio della capienza prevista, un vero e proprio crimine contro la libertà personale.
Questa situazione insostenibile amplifica esponenzialmente la vulnerabilità psichica di chi è rinchiuso, innescando un allarme psicosociale urgente e ineludibile.
I dati, resi pubblici dalla segretaria di Radicali Italiani, Filippo Blengino, sono sconcertanti: una prevalenza significativa di tossicodipendenti – spesso intrecciata con patologie psichiatriche – affligge la popolazione carceraria.
Si stima che quasi la metà dei detenuti soffra di disturbi psichiatrici gravi, una condizione aggravata dalla detenzione stessa, che preclude qualsiasi forma di terapia adeguata e alimenta un circolo vizioso di sofferenza.
L’autolesionismo e i tentativi di suicidio non sono episodi isolati, ma fenomeni ricorrenti, indicatori di un disagio profondo e di una disperazione palpabile.
L’amarezza è ulteriormente acuita dalla retorica ufficiale.
Le immagini di Salvini, in posa a Rebibbia, che esprime finta sorpresa, contrastano brutalmente con la realtà quotidiana che si consuma all’interno delle carceri.
Queste sono le dirette conseguenze di politiche populiste e punitive, che hanno trasformato gli istituti penali in veri e propri raccoglitori di emarginazione sociale, dove i diritti fondamentali sono sospesi e la speranza è un lusso inaccessibile.
Anche il silenzio del Ministro Nordio, di fronte a questa spirale di decessi, appare colpevole.
La denuncia per istigazione e aiuto al suicidio non è un atto di ostilità, ma un grido di allarme, un tentativo disperato di attirare l’attenzione su un problema che richiede interventi immediati.
L’iniziativa promossa da Roberto Giachetti, che mira a una riforma complessiva del sistema penitenziario, rappresenta un punto di partenza essenziale, ma non può essere l’unica soluzione.
È imperativo depenalizzare reati minori e sviluppare alternative alla detenzione, come la mediazione penale, il lavoro di pubblica utilità e programmi di reinserimento sociale.
Solo un approccio multidisciplinare, che coniughi misure repressive e opportunità di riscatto, potrà spezzare la catena di dolore e prevenire ulteriori tragedie.
Il governo, con la sua politica miope, non combatte la criminalità; la alimenta, perpetrando una forma di tortura psicofisica mascherata da pena.
La visita, a cui hanno partecipato la Tesoriera Patrizia De Grazia, Ennio Ferlito e Bianca Piscolla, non è un gesto di pietà, ma un dovere civico, un atto di denuncia a difesa dei diritti umani e della dignità delle persone rinchiuse, troppo spesso dimenticate e sacrificate sull’altare di un sistema giudiziario inefficiente e disumano.
La domanda cruciale non è “cosa è giusto punire?” ma “come possiamo costruire una società più giusta e inclusiva, che offra a tutti una seconda possibilità?”