L’episodio che ha coinvolto una paziente oncologica sarda rientrante in Sardegna dopo una complessa visita specialistica presso l’Humanitas di Milano, rivela una profonda frattura tra l’esigenza di garantire la continuità delle cure e le barriere, spesso insormontabili, poste dal sistema dei trasporti e dalle procedure amministrative.
Il racconto, sollevato dal deputato gallurese Dario Giagoni con l’annuncio di un’imminente interrogazione parlamentare ai ministri competenti, dipinge un quadro di disservizio e di mancanza di sensibilità verso la vulnerabilità di chi combatte una malattia grave.
La donna, costretta a portare un drenaggio peritoneale a causa delle conseguenze terapeutiche affrontate, si è trovata improvvisamente di fronte a un muro burocratico inatteso.
Inizialmente, il certificato medico, attestante la sua idoneità al viaggio e rilasciato dal team curante, veniva accettato.
Successivamente, la compagnia aerea ha contestato la validità del documento, invocando la necessità di modulistica aggiuntiva e di informazioni sanitarie di natura particolarmente riservata.
Questo rigore formale, in un contesto di fragilità umana, ha determinato la perdita del volo e l’impossibilità di rientrare nella sua terra.
L’episodio trascende la mera gestione di un singolo volo; esso mette in luce una problematica più ampia e strutturale che affligge il sistema dei trasporti verso le isole.
La distanza geografica, unita alla complessità delle necessità mediche, amplifica le difficoltà di accesso alle cure e aggrava il senso di isolamento di chi vive in Sardegna.
Le isole, pur facendo parte integrante del territorio nazionale, si trovano spesso ad affrontare una sorta di “doppia penalizzazione”, dovuta alla combinazione di fattori geografici ed economici.
La vicenda evidenzia, inoltre, una lacuna nella formazione del personale addetto all’assistenza dei passeggeri con disabilità e con esigenze mediche particolari.
La mancanza di conoscenza delle normative vigenti e la rigidità nell’applicazione delle procedure possono trasformare un percorso di cura, già gravoso di per sé, in un vero e proprio incubo.
La necessità di recarsi al pronto soccorso aeroportuale per ottenere un nuovo certificato e l’intervento, successivamente, della polizia di Stato, sottolineano l’assurdità della situazione e la profonda mancanza di empatia dimostrata dalla compagnia aerea.
La paziente, esaurita fisicamente e psicologicamente, si è vista costretta a rinviare il rientro a casa, affrontando ulteriori disagi e oneri economici per potersi rifugiare in una stanza d’albergo.
L’esperienza vissuta non è solo una questione di praticità, ma incide profondamente sulla qualità della vita e sul benessere emotivo di chi si trova in una condizione di vulnerabilità.
Il deputato Giagoni denuncia giustamente come, nel 2025, una cittadina italiana residente in Sardegna debba subire tali umiliazioni per rientrare nel proprio territorio.
L’episodio rappresenta una ferita all’immagine del Paese e un campanello d’allarme per le istituzioni, chiamate a rivedere le procedure e a garantire una maggiore sensibilità verso le esigenze dei pazienti oncologici e di tutti coloro che necessitano di assistenza speciale durante i viaggi.
È imperativo che il diritto di ritornare a casa, soprattutto per chi lotta per la propria salute, non venga negato da una burocrazia insensibile e da un sistema di trasporti inadeguato.
La dignità umana e la continuità delle cure devono prevalere su qualsiasi rigidità formale.








