Una vicenda complessa e dalle implicazioni etiche profonde scuote il mondo delle organizzazioni non governative.
Francesca Marenco, ex responsabile amministrativa di ActionAid Italia, un’organizzazione umanitaria di rilevanza internazionale, è stata posta agli arresti domiciliari in seguito a un interrogatorio preventivo dinanzi al giudice per le indagini preliminari (GIP).
L’accusa, che pesa significativamente sulla figura dell’ex dirigente, riguarda l’appropriazione indebita di ingenti somme di denaro, derivanti da donazioni finalizzate a sostenere progetti umanitari.
Il valore complessivo dei fondi sottratti alla collettività si aggira intorno a un milione e mezzo di euro, una cifra che incide profondamente sulla credibilità e sulla capacità operativa di ActionAid.
Le indagini, condotte con rigore dalla Sezione di polizia giudiziaria – aliquota Guardia di Finanza, sotto la direzione della sostituta procuratore Giovanna Cavalleri, hanno portato al blocco di beni per un valore di oltre 480.000 euro, a garanzia del recupero dei fondi illeciti.
L’inchiesta, come precedentemente anticipato da un articolo pubblicato dal Corriere della Sera, ha rivelato un quadro preoccupante di presunte irregolarità finanziarie all’interno dell’organizzazione.
Oltre all’appropriazione indebita, a carico della Marenco sono contestati anche reati di accesso abusivo a un sistema informatico, suggerendo un’azione premeditata e strutturata per eludere i controlli interni.
L’elenco delle accuse si estende ai reati tributari, con specifiche contestazioni di dichiarazione infedele e omessa presentazione della dichiarazione fiscale, direttamente collegati alla tassazione dei proventi derivanti dall’appropriazione indebita.
Questo aspetto sottolinea come l’illecito finanziario si sia intrecciato con una sottrazione di risorse destinate allo Stato.
La gravità della situazione è aggravata dal fatto che la Marenco vanta precedenti penali per condotte analoghe, un elemento che ha portato alla cumulazione di pene che la collocano, allo stato attuale, in regime di detenzione domiciliare per una pena complessiva di sei anni e due mesi.
L’arresto, quindi, non rappresenta un evento isolato, ma si inserisce in una storia di comportamenti irregolari che sollevano interrogativi sulla responsabilità personale e sulla necessità di rafforzare i controlli interni nelle organizzazioni non profit.
La vicenda pone l’attenzione sulla vulnerabilità delle organizzazioni umanitarie, spesso basate sulla fiducia e sulla generosità dei donatori, e sull’importanza di garantire la trasparenza e la corretta gestione delle risorse finanziarie per preservare la loro credibilità e la loro missione.
L’intera vicenda rischia di minare la fiducia del pubblico nei confronti delle organizzazioni umanitarie, richiedendo un profondo esame di coscienza e un ripensamento delle pratiche gestionali e di controllo.








