La replica di Alessandro Scandurra, ex membro della commissione paesaggistica comunale, durante l’interrogatorio preliminare, solleva un complesso intreccio di questioni etiche e legali al cuore dell’inchiesta sull’urbanistica milanese.
La sua difesa, apparentemente ancorata a una rigida aderenza al codice deontologico, rivela una problematicità intrinseca nel suo ruolo e nelle sue attività professionali.
La domanda cruciale – la sua imparzialità nella valutazione di un progetto urbanistico presentato da un investitore a cui aveva precedentemente fornito servizi di consulenza per un corrispettivo di 400.000 euro – ha generato una risposta che, lungi dal dissipare ogni dubbio, ne ha acuito la gravità.
Scandurra ha sostanzialmente affermato che la sua partecipazione alla commissione paesaggistica era condizionata all’assenza di vincoli relativi all’accettazione di incarichi da soggetti coinvolti nella presentazione di progetti.
Questa ammissione, implicitamente, suggerisce una consapevolezza del potenziale conflitto di interessi, ma contemporaneamente ne giustifica l’esistenza, presentandolo come un fattore imprescindibile per la sua partecipazione.
Il suo contributo, come egli stesso ha precisato, consisteva nell’apportare “capacità, sensibilità e conoscenza” all’amministrazione pubblica, elementi che, in teoria, avrebbero dovuto garantire una valutazione equa e ponderata.
Tuttavia, la questione si complica ulteriormente quando il giudice ha espresso perplessità riguardo al rischio di un conflitto di interessi, sottolineando come la sua posizione potesse generare sospetti e pregiudizi.
La risposta di Scandurra, incentrata sulla “diffusione culturale della cultura urbana” e sul “servizio civico”, appare come un tentativo di nobilitare una situazione che, a tutti gli effetti, pone serie interrogativi sulla trasparenza e l’imparzialità dei processi decisionali.
L’inchiesta, che ha portato alla sua collocazione agli arresti domiciliari, non si limita a evidenziare una singola vicenda, ma apre un dibattito più ampio sulla necessità di una revisione dei meccanismi di controllo e di trasparenza nell’ambito dell’amministrazione pubblica.
La commistione tra attività professionali private e incarichi istituzionali, se non adeguatamente regolamentata, rischia di compromettere la credibilità delle istituzioni e di erodere la fiducia dei cittadini.
La vicenda Scandurra, pertanto, rappresenta un campanello d’allarme che richiede un’analisi critica e una riforma urgente dei sistemi di governance urbana, al fine di garantire una gestione del territorio più equa, sostenibile e, soprattutto, immune da influenze indebite.
L’atto di mettere in discussione la natura stessa del “servizio civico” quando intessuto con interessi economici privati, solleva interrogativi profondi sulle responsabilità individuali e collettive nella tutela del bene comune.