Le motivazioni di una sentenza di condanna, emesse dal tribunale di Milano, offrono un quadro inquietante sulla gestione della tifoseria milanista, rivelando un’organizzazione complessa e radicata che ha intrecciato la passione calcistica con attività illecite, strutturate attorno a un progetto criminale di ampia portata.
La sentenza, che ha visto condannati Christian Rosiello, Francesco Lucci e Riccardo Bonissi, dipinge un’associazione volta a perpetuare un monopolio sulla gestione della tifoseria, garantendosi il controllo degli introiti derivanti dalla passione dei tifosi e ricorrendo, in alcuni casi, a dinamiche di coercizione e violenza.
L’obiettivo primario dell’associazione, come sottolinea la giudice Ilaria Simi, non era semplicemente quello di sostenere la squadra del cuore, bensì di consolidare un potere assoluto e incontestabile all’interno del panorama ultras milanista.
Questo controllo non si limitava all’organizzazione dei trasferimenti o all’animazione dello stadio, ma si estendeva alla gestione di attività economiche correlate alla tifoseria, spesso realizzate al di fuori di canali leciti, generando ingenti profitti.
Il processo, coordinato dai magistrati Paolo Storari e Sara Ombra e sviluppato grazie all’impegno della Squadra Mobile e del Corpo delle Guardie di Finanza, ha ricostruito una fitta rete di relazioni e comportamenti illeciti, che includono accuse di associazione a delinquere, lesioni personali e aggressioni.
Le indagini hanno portato alla luce episodi di particolare gravità, come il presunto pestaggio ai danni del personal trainer Cristiano Iovino, dove, seppur successivamente archiviati, risultano coinvolti il rapper Fedez e il suo ex bodyguard Rosiello, in seguito a una lite scoppiata in un locale notturno.
Gli elementi emersi durante il processo hanno messo in luce un rapporto opportunistico tra il rapper e Luca Lucci, l’ex capo ultras, che si avvaleva del prestigio derivante dalla sua posizione di leadership per proporre nuove e redditizie iniziative.
Questa dinamica rivela una strategia volta a sfruttare la notorietà e l’influenza per ampliare il raggio di attività illegali, evidenziando come la leadership di Lucci fosse un elemento chiave per la perpetuazione del sistema criminale.
La sentenza, lungi dall’essere un mero atto di accusa, rappresenta un campanello d’allarme sullo sfruttamento della passione sportiva a fini illeciti, evidenziando la necessità di un controllo più rigoroso e di un’azione repressiva più incisiva per contrastare l’infiltrazione della criminalità organizzata nel mondo del calcio e la strumentalizzazione degli ultras a scopo di lucro.
Le motivazioni della sentenza aprono uno spiraglio su un’organizzazione complessa e radicata, che ha saputo creare un sistema di potere basato sulla manipolazione e la violenza, minando i valori fondamentali della sportività e del rispetto.