La sentenza di condanna a trent’anni di Marco Toffaloni, emessa dal Tribunale dei Minori di Brescia, si fonda su un elemento cruciale, una presenza fisica inequivocabile, che trascende la mera casualità per configurarsi come prova circumstanziale di pesantissima rilevanza. La sua partecipazione all’eccidio di Piazza della Loggia, avvenuto il 28 maggio 1974, non può essere ridotta a un mero caso fortuito, una coincidenza spiegabile. La decisione, articolata in un’analisi motivazionale di 337 pagine, sottolinea l’assenza di qualsiasi ragione plausibile che potesse giustificare la presenza di Toffaloni, all’epoca sedicenne, in quel luogo specifico, in quel preciso momento.Marco Toffaloni, oggi sessantacinquenne, è accusato di essere uno degli esecutori materiali della strage che costò la vita a otto persone e causò il ferimento di altre cento due. L’accusa si basa in modo determinante su una fotografia scattata immediatamente dopo l’esplosione, che ritrae un giovane corrispondente, con un grado di probabilità estremamente elevato, a Marco Toffaloni stesso. L’indagine tecnica sulle immagini ha confermato questa identificazione, ponendo le basi per una ricostruzione dei fatti che incastra l’imputato.È un principio giuridico consolidato che la presenza sul luogo del crimine non costituisca, di per sé, prova di colpevolezza. Tuttavia, nel caso Toffaloni, tale elemento assume un significato molto più profondo. La circostanza, isolata, diventerebbe irrilevante; integrata nel complesso quadro probatorio, rivela una forza testimoniale innegabile. L’assenza di una spiegazione alternativa da parte dell’imputato aggrava ulteriormente la sua posizione. Perché un giovane che risiede a settanta chilometri di distanza da Brescia, in una zona priva di collegamenti diretti e immediati, si sarebbe trovato a Piazza della Loggia, in un orario matutino, senza una ragione apparente? La distanza geografica rende l’ipotesi di un passaggio casuale del tutto inverosimile, smentendo qualsiasi tentativo di minimizzazione o giustificazione.La sentenza del Tribunale dei Minori non si limita a una constatazione superficiale della presenza fisica; la interpreta come un indizio di una partecipazione attiva e consapevole all’atroce evento. L’elemento fotografico, lungi dall’essere un mero dettaglio accessorio, emerge come una chiave interpretativa che apre una finestra sulla dinamica della strage e incastra l’imputato in un contesto di responsabilità che appare sempre più definito e ineludibile. La decisione riflette una profonda riflessione sui principi di giustizia e sulla necessità di ricostruire la verità storica di una pagina buia della storia italiana.
Toffaloni, sentenza a Brescia: la foto incastra l’imputato.
Pubblicato il
