La tragica scomparsa di Matteo Barone, giovane di soli 25 anni falciato in via Porpora a Milano, ha scosso profondamente la città, aprendo un’inchiesta complessa che coinvolge Giusto Chiacchio, agente di polizia penale di 26 anni.
La Procura di Milano, guidata dal procuratore Maurizio Ascione, ha formalmente richiesto la convalida dell’arresto e l’applicazione della custodia cautelare in carcere, una decisione motivata da un quadro di gravità che emerge dalle prime indagini e che solleva interrogativi significativi sulla responsabilità dell’agente e sulle dinamiche che hanno condotto al fatale incidente.
L’accusa principale è di omicidio stradale, un reato che, nel contesto italiano, implica una particolare severità a causa della perdita di una vita umana e della violazione delle norme sulla sicurezza stradale.
La richiesta di custodia cautelare non è una misura automatica, ma riflette la percezione di un rischio concreto di reiterazione del reato, una preoccupazione amplificata dalla positività dell’agente ai controlli alcolmetrici.
Un elemento particolarmente rilevante è la pregressa sorveglianza sanitaria amministrativa a cui il 26enne era sottoposto, conseguente ad una precedente intossicazione alcolica.
Questa circostanza non solo aggrava la sua posizione, ma suggerisce una potenziale problematicità legata all’uso di alcol e alla sua capacità di guidare in sicurezza, una questione che merita un approfondimento psicologico e sociale.
L’interrogatorio, attualmente in corso dinanzi al giudice per le indagini preliminari Roberto Crepaldi, rappresenta una fase cruciale per la definizione della posizione di Chiacchio.
Il Gip dovrà valutare attentamente gli elementi a suo carico e decidere se confermare la legittimità dell’arresto e la necessità della custodia cautelare.
Parallelamente, le indagini condotte dalla Polizia locale si concentrano sull’utilizzo del cellulare da parte dell’agente al momento dell’impatto.
Il sequestro del telefono e l’analisi dei dati potrebbero rivelare se una distrazione legata all’uso del dispositivo abbia contribuito all’incidente, fattore che, in caso di accertamento, aggraverebbe ulteriormente la responsabilità penale.
La testimonianza di un testimone oculare, che ha riferito di aver visto l’auto viaggiare ben al di sopra del limite di velocità di 50 km/h, fornisce un ulteriore elemento a carico dell’agente.
Un dettaglio particolarmente inquietante, evidenziato dalla Procura nella richiesta di custodia cautelare, riguarda il tentativo di fuga dell’agente dall’ospedale dove era stato ricoverato.
La fuga, motivata dalla volontà di eludere i controlli alcolmetrici, dimostra una consapevolezza della propria colpevolezza e un atteggiamento che denota una scarsa considerazione per le conseguenze delle proprie azioni e per il dolore della vittima e dei suoi familiari.
La conseguente rintracciamento da parte dei colleghi e la successiva sottoposizione al test alcolimetrico, rafforzano il quadro di un comportamento irresponsabile e volto a ostacolare l’accertamento della verità.
La vicenda solleva, quindi, questioni cruciali sulla cultura della responsabilità all’interno delle forze dell’ordine e sulla necessità di un rafforzamento dei controlli e delle misure preventive per evitare che simili tragiche conseguenze si ripetano.