L’indagine in corso presso la Procura di Milano, incentrata su dinamiche complesse nell’ambito dell’urbanistica comunale, estende il suo focus su aree di particolare rilevanza: i beni demaniali, sia quelli attualmente in gestione pubblica, sia quelli che in passato lo erano, e che ora, a detta dei magistrati, potrebbero aver subito una trasformazione d’uso senza un’adeguata considerazione dell’interesse collettivo.
Il fulcro delle accuse ruota attorno a un vasto corpus di “accordi di programma in variante”, uno strumento urbanistico particolarmente flessibile – e potenzialmente suscettibile di abusi – che avrebbe permesso il trasferimento di proprietà o l’assegnazione di diritti edificatori a soggetti privati, spesso in una logica che bypassava le procedure di controllo e trasparenza previste dalla legge.
In particolare, i pubblici ministeri hanno evidenziato come questi accordi fossero, in alcuni casi, conclusi e implementati addirittura durante la fase istruttoria amministrativa, ossia quando le proposte originarie dei privati erano ancora in fase di valutazione e revisione.
Questa sequenza temporale solleva interrogativi sulla possibilità di un’influenza impropria da parte degli attori privati nel processo decisionale.
La memoria presentata dalla Procura dettaglia alcuni progetti specifici oggetto di indagine, rivelando la portata e la complessità delle operazioni sotto esame.
Tra questi emergono interventi di rilievo strategico per la città, come la riqualificazione dello scalo ferroviario di Porta Romana, destinato a ospitare il Villaggio Olimpico, la trasformazione di caserme dismesse e la riqualificazione di piazzale Loreto, aree cruciali per la mobilità e l’identità urbana.
L’indagine non si limita a contestare la legalità formale degli accordi di programma, ma mira ad accertare se le decisioni prese abbiano leso il bene comune, privilegiando interessi privati a scapito della pianificazione urbanistica sostenibile, dell’accessibilità ai servizi pubblici e della tutela del patrimonio storico-culturale.
Si indaga quindi sulla potenziale compromissione del principio di pubblicità e imparzialità nell’azione amministrativa, con possibili ripercussioni sulla qualità della vita dei cittadini e sullo sviluppo armonico della città.
Il caso solleva interrogativi fondamentali sul ruolo della pubblica amministrazione, sulla necessità di un maggiore controllo e trasparenza negli accordi di programma e sulla responsabilità degli amministratori nel garantire che le scelte urbanistiche siano sempre nell’interesse della collettività.