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Vallanzasca, l’appello per la grazia: un’ultima speranza.

La vicenda di Renato Vallanzasca, figura controversa nel panorama criminale milanese degli anni ’70, riemerge con una nuova, delicata richiesta: la grazia presidenziale.

Un’iniziativa nata dalla consapevolezza della sua condizione di salute ormai irreversibile, e sostenuta da coloro che un tempo condividevano con lui un percorso, per quanto deviato, nella storia della criminalità.

Un’ondata di supporto, tradotta in quasi mille firme su una piattaforma online, testimonia la crescente sensibilità verso la sua situazione.

Tino Stefanini, un tempo parte integrante della “batteria” che accompagnava Vallanzasca nelle sue azioni, è il motore di questo appello.
Affiancato da Osvaldo “Cico” Monopoli, un altro ex membro della sua banda, Stefanini intende amplificare la voce di questa richiesta attraverso il suo canale Tik Tok, sfruttando la portata dei social media per mobilitare un numero ancora maggiore di sostenitori.
La richiesta di grazia non nasce da un’asserita redenzione o da un’analisi revisionistica delle sue azioni passate, bensì dalla profonda compassione derivante dalla sua attuale condizione fisica e mentale.
Vallanzasca, a seguito di decenni passati in carcere, versa in uno stato di profonda demenza, caratterizzato da perdita di memoria, difficoltà di deambulazione e incapacità di comunicazione verbale.

La sua mente, un tempo capace di pianificare e compiere azioni criminali, è ora intrappolata in un limbo di oblio e sofferenza.
La residenza sanitaria assistita (RSA) del Padovano, specializzata nella cura di pazienti affetti da Alzheimer e demenza, rappresenta il suo attuale rifugio.

In questo contesto, l’auspicio di Stefanini e dei suoi sostenitori è che Sergio Mattarella possa concedere a Vallanzasca la possibilità di trascorrere i suoi ultimi giorni in libertà, restituendogli, in un certo senso, una dignità perduta a causa delle sue azioni e delle conseguenze che ne sono derivate.

L’appello solleva interrogativi complessi.

Rappresenta un atto di pietà umana verso un individuo che ha causato dolore e sofferenza? O un’ulteriore, paradossale, conseguenza di un sistema penitenziario incapace di offrire una risposta adeguata alla complessità del degrado fisico e psichico che può affliggere i detenuti a lungo termine? La decisione finale spetta al Presidente della Repubblica, chiamato a bilanciare la severità della giustizia con l’umanità del perdono, in un caso che incarna la tragica commistione tra colpa, redenzione e sofferenza.

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