L’evoluzione del diritto di famiglia ha progressivamente ampliato la definizione di violenza, riconoscendo che essa non si esaurisce nella sola aggressione fisica.
Un recente caso giudiziario, deciso dalla Corte d’Appello di Milano, illustra come la violenza psicologica ed economica siano a pieno titolo configurabili come violenza domestica, con rilevanti implicazioni sull’addebito della separazione.
La sentenza, che ha confermato la responsabilità di un coniuge per comportamenti vessatori e manipolatori, sottolinea un cambiamento cruciale nell’interpretazione del fenomeno della violenza all’interno del contesto familiare.
Il caso in esame ha visto una donna, supportata dall’avvocata Caterina Biafora, costretta a lasciare la residenza familiare nel 2019, rifugiandosi con i propri figli presso i genitori.
La necessità di ricorrere all’assistenza di un’associazione specializzata nel supporto psicologico, “Don’t Worry”, testimonia la gravità delle dinamiche abusive che la donna ha subito.
Il trasferimento e l’intervento dell’associazione rappresentano segnali evidenti del deterioramento del benessere psicologico e della compromissione della dignità personale.
La difficoltà di provare la violenza psicologica ed economica risiede nella sua intrinseca natura elusiva.
A differenza delle aggressioni fisiche, che lasciano segni visibili, queste forme di abuso si manifestano in un ambito privato, all’interno del nucleo familiare, rendendo arduo documentarle e rendere partecipi soggetti esterni.
La Corte milanese, tuttavia, ha riconosciuto l’attendibilità delle dichiarazioni della donna, corroborate dalle testimonianze rese durante un procedimento penale connesso.
Questo riconoscimento sottolinea l’importanza di valorizzare le narrazioni delle vittime, soprattutto quando queste coesistono con elementi probatori provenienti da altri contesti giuridici.
L’assenza di elementi di enfatizzazione nel racconto della donna ha rafforzato la sua credibilità.
La sua precisa distinzione tra violenza fisica, che ha esplicitamente negato di aver subito, e le altre forme di abuso, quali aggressioni verbali, atti di prevaricazione e condotte economicamente lesive, non solo ai suoi danni ma anche a quelli dei figli, evidenzia la consapevolezza della gravità dei comportamenti messi in atto.
Questa chiarezza, unita alla coerenza della sua narrazione, ha contribuito a delineare un quadro di dinamiche abusive volte a esercitare un controllo pervasivo e a minare l’autonomia e il benessere della vittima e dei minori.
La sentenza della Corte d’Appello di Milano segna un passo avanti nella tutela delle vittime di violenza domestica, riconoscendo che il controllo economico e psicologico rappresentano strumenti subdoli ma non meno dannosi per perpetrare abusi e ledere la dignità umana.
La decisione sottolinea la necessità di una maggiore sensibilità da parte del sistema giudiziario nel valutare le dinamiche familiari e di promuovere una cultura della prevenzione e del sostegno alle vittime, riconoscendo che la violenza, in ogni sua forma, mina le fondamenta della convivenza civile e del benessere sociale.