giovedì 2 Ottobre 2025
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Ancora una e poi spengo: la dipendenza seriale sul palco.

“Ancora una e poi spengo – Storia semiseria di un’ossessione seriale” di Carla Carucci, diretto da Francesca Lo Bue e in scena al Fringe MilanoOff, è un’esilarante e profondamente attuale radiografia di un fenomeno culturale dilagante: la dipendenza seriale.

Lo spettacolo, ambientato in un’inedita cornice espositiva, lo spazio Plinio il Giovane, trascina il pubblico in un vortice di autoironia e confessioni intime, incarnato dalla figura di Lucia Amoruso, interpretata con maestria da Carucci.
Lucia, convinta di partecipare a una seduta di “Dst Anonimi”, un gruppo di supporto per dipendenti da serie TV, si disvela al pubblico, svelando la sua spirale ossessiva.
Non si tratta semplicemente di un passatempo, ma di una vera e propria fuga dalla realtà, un rifugio in mondi alternativi popolati da eroi e antieroi.
Carucci, con un’abile commistione di comicità e introspezione, dipinge il ritratto di una donna che, attraverso l’immersione seriale, cerca di colmare un vuoto esistenziale, un malessere profondo che si manifesta in fallimenti amorosi e professionali.

Lo spettacolo non si limita a descrivere l’ossessione, ma ne esplora le radici.

Attraverso un percorso narrativo che oscilla tra l’assurdo e la verità, Lucia/Carucci smonta le illusioni create dai serial, interrogandosi sulle cause della propria compulsività.
La dipendenza seriale, infatti, è presentata come un sintomo di una società iperconnessa, in cui la realtà, spesso deludente, viene surrogata da un universo artificiale, rassicurante e facilmente accessibile.

La performance mette in luce il paradosso dell’esperienza seriale: un’iperconnessione digitale che paradossalmente porta a una disconnessione dal mondo reale, dai rapporti interpersonali e dalla propria identità.

Il personaggio si fonde con i suoi idoli seriali, confondendo i confini tra finzione e realtà, in una ricerca di senso e di appartenenza.

“Ancora una e poi spengo” è più di uno spettacolo: è uno specchio che riflette le nostre fragilità, le nostre paure e la nostra costante ricerca di conforto in un’era dominata dall’immagine e dall’intrattenimento di massa.

È un invito a riflettere sul nostro rapporto con la tecnologia, sull’importanza dei legami umani e sulla necessità di ritrovare un equilibrio tra il mondo virtuale e la vita reale.

Un monologo che, attraverso il riso, ci interroga profondamente sul significato di essere umani nel XXI secolo.

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