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venerdì 7 Novembre 2025

Han Kang: Un Viaggio Bianco tra Memoria e Assenza

L’Echeggiare del Bianco: Han Kang e il Viaggio tra Memoria e AssenzaL’incontro con Han Kang, autrice sudcoreana insignita del premio Nobel per la letteratura nel 2024, si è aperto con una visione: la luna, piena e luminosa, un presagio di quella che sarebbe stata una serata intrisa di poesia e riflessioni profonde.
Al Teatro Dal Verme di Milano, Kang ha presentato “Il Libro Bianco”, opera pubblicata in patria oltre un decennio fa e giunta ora in traduzione italiana, frutto del prezioso lavoro di Lia Iovenitti, a cui l’autrice ha dedicato un sentito ringraziamento.
La complessità di “Il Libro Bianco” risiede già nel titolo, un’apparente semplicità che cela una stratificazione di significati profondi.

Il bianco, in coreano, non si esprime con un’unica parola, ma con due: “hayan”, che evoca purezza assoluta, e “huin”, che suggerisce un intreccio tormentato tra vita e morte, un’ombra pervasa dalla fragilità dell’esistenza.
“Huin” non è l’assenza di colore, ma la percezione di un buio latente anche nella luce più accecante, una condizione di ambivalenza che permea l’intera opera.
Kang ha spiegato come l’idea del libro sia nata dal desiderio di esplorare la possibilità di scrivere “cose bianche”, un tentativo di distillare l’essenza dell’essere attraverso un viaggio a Varsavia.

Questo viaggio si trasforma in un atto di riappropriazione della memoria, un tentativo struggente di restituire alla sorella maggiore, scomparsa prematuramente dopo il parto, la vita negata.
Le tre sezioni del libro, le prime due concepite tra le macerie di Varsavia, si fondono in un flusso di coscienza frammentato, composto da scene evocative, ricordi sbiaditi e riflessioni intime.

Varsavia emerge come una “città huin”, un simbolo di resilienza e ricostruzione a partire dalla distruzione, un’analogia perfetta con il processo di guarigione che l’autrice compie per la sorella.

L’incontro con la memoria si tinge di influenze buddhiste, dove il corpo diventa un tempio, un luogo sacro in cui accogliere l’eco di un’anima perduta.
Kang descrive un desiderio profondo, quasi spirituale, di condividere con la sorella solo momenti di bellezza, creando ricordi preziosi in un viaggio interiore.

“Il Libro Bianco” si rivela così un’opera stratificata che trascende la semplice narrazione.

È un’indagine sull’esistenza, sulla sua effimera bellezza e sulla sua inevitabile conclusione, un’esplorazione del rapporto che l’uomo intrattiene con la natura e con le sue manifestazioni più potenti: la neve, il gelo, la nebbia, la nascita, il primo latte materno.

Ma il viaggio non si esaurisce qui.
Si evolve in un’autoanalisi impietosa, in cui Kang si confronta con la storia della madre, segnata dalla tragica perdita della prima figlia, un dolore che l’autrice percepisce come proprio.
La scrittrice sembra interrogarsi sulla brevissima esistenza di una sorella mai conosciuta, un’esistenza che, paradossalmente, ha impedito la realizzazione di un’altra gravidanza, negando la possibilità di una nuova vita.

La vita stessa di Kang appare come una negazione di quella sorella, un paradosso doloroso che alimenta la sua ricerca di senso.
Durante l’incontro, l’autrice ha sottolineato come la sua opera, profondamente personale, abbia suscitato negli lettori un’eco di emozioni condivise, di lutti e di tristezze universali.
La capacità della letteratura di creare un ponte tra le anime, di generare empatia e conforto, è stata il fulcro delle sue riflessioni.

In un’epoca dominata dall’intelligenza artificiale e dalle realtà virtuali, Kang ha affermato con passione che l’esperienza più autentica e incomparabile resta quella di immergersi nell’anima e nelle emozioni altrui attraverso la lettura di un libro, un’esperienza che non richiede dispositivi tecnologici ma solo la volontà di aprirsi all’altro.

La bellezza della letteratura, come un faro nella notte, non può scomparire.

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