La Rai, al di là delle narrazioni distorte che la vogliono asservita a logiche di potere, incarna un nodo cruciale dell’identità nazionale. Non è un mero emittente, ma un ecosistema culturale complesso dove si plasmano immaginari, si raccontano storie e si definisce, in parte, la percezione collettiva del Paese. Questo è il fulcro del messaggio che l’Amministratore Delegato Giampaolo Rossi ha voluto ribadire, smontando la rappresentazione di un’azienda prona a censure e condizionamenti.Lungi dall’essere una piattaforma per imporre una visione univoca, la Rai ha il dovere costituzionale di garantire la pluralità di voci, un principio che trascende le dinamiche politiche contingenti. Questa pluralità non è un optional, ma l’essenza stessa del servizio pubblico, un antidoto contro la polarizzazione e l’appiattimento culturale. La denuncia di Rossi si concentra sulla profonda disconnessione tra la Rai percepita, spesso attraverso filtri ideologici e interpretazioni parziali, e la realtà concreta di un’organizzazione che opera in condizioni di risorse limitate, ma che genera un impatto culturale e industriale di proporzioni europee.La Rai, pur con un budget significativamente inferiore rispetto ad altri broadcaster, vanta competenze e strutture produttive ammirate in Europa. Il suo ruolo catalizzatore per l’intera filiera audiovisiva italiana è imprescindibile: senza gli investimenti della Rai, cinema, fiction, animazione e documentari risentirebbero un colpo fatale, con la potenziale scomparsa di numerose realtà produttive. Questa responsabilità non è solo economica, ma anche culturale: la Rai è custode di un patrimonio inestimabile, un ponte tra passato e futuro, un laboratorio di idee e di talenti.La polemica relativa alla copertura dei referendum rappresenta un esempio emblematico della strumentalizzazione che l’azienda subisce. I dati oggettivi, provenienti da fonti autorevoli come l’Osservatorio di Pavia, dimostrano un’attenzione mediatica superiore rispetto alle precedenti tornate referendarie. La selettività delle critiche, amplificate da un contesto politico ben preciso, rivela un’agenda ideologica che mira a delegittimare il lavoro di migliaia di giornalisti impegnati nel racconto della realtà.L’esperienza di alcuni talenti che hanno lasciato la Rai, e che ora ne rimpiangono la scelta, testimonia il valore del servizio pubblico e la sua capacità di attrarre e formare professionisti. I risultati positivi in termini di ascolti, con picchi che non si registravano da anni, smentiscono la narrazione di una Rai in crisi, confermando l’efficacia di una programmazione che punta sulla qualità e sulla varietà. L’exploit di figure emergenti come Stefano De Martino è ulteriore prova della vitalità dell’azienda, capace di rinnovarsi e di intercettare i gusti del pubblico.La prospettiva di un ritorno di Fiorello, con un approccio sperimentale attraverso la radio, sottolinea l’importanza di un rapporto virtuoso tra l’azienda e i talenti che ne hanno segnato la storia. La sua presenza è un elemento imprescindibile per la costruzione di un’offerta televisiva che sappia coniugare tradizione e innovazione.La fiducia nella futura presidente Rai, Agnes, riflette la speranza di un’azienda guidata da una figura equilibrata e competente, capace di navigare le complessità del contesto politico e di garantire il rispetto dei principi fondamentali del servizio pubblico. La speranza è che il senso di responsabilità prevalga, superando le difficoltà procedurali e assicurando la continuità di un’istituzione che rappresenta un patrimonio inestimabile per il Paese.