L’intesa commerciale tra Stati Uniti e Unione Europea, pur rappresentando un’ancora di stabilità nell’incerto panorama economico globale, non elimina le preoccupazioni relative all’impatto sull’export europeo.
Sebbene l’evitare una guerra commerciale generalizzata, con il rischio di dazi punitivi e la conseguente paralisi dei flussi commerciali, costituisca un indiscutibile successo, le ripercussioni negative sulle imprese e sull’occupazione rimangono una realtà da monitorare con attenzione.
Secondo Riccardo Garosci, presidente dell’Associazione Italiana Commercio Estero (AICE) e vicepresidente di Confcommercio Nazionale e MiLoMB, l’area di Milano, Monza e Lodi ha registrato nel primo trimestre dell’anno un calo delle esportazioni, con Milano che ha subito una contrazione del 2,2% e la Brianza del 25,1% rispetto all’ultimo trimestre del 2023.
Questo dato, sebbene preoccupante, non deve necessariamente presagire un disastro generalizzato, soprattutto per Milano, dove una quota significativa dell’export è rappresentata da prodotti ad alta tecnologia e innovazione – come quelli farmaceutici, chimico-medicinali e botanici – che presentano un elevato grado di differenziazione e sostituzione difficile.
La chiave per comprendere appieno le implicazioni dell’accordo risiede nell’analisi dettagliata delle esenzioni dai dazi e, crucialmente, nella conferma che la soglia del 15% per i dazi livellati sulle merci europee importate negli Stati Uniti tenga conto dei dazi preesistenti.
Un mancato allineamento comporterebbe un onere finanziario insostenibile per molti settori, in particolare per i beni di consumo.
L’incertezza relativa a prodotti strategici come acciaio e alluminio, con dazi ancora al 50%, aggrava ulteriormente la situazione.
Inoltre, si deve considerare l’aumento globale delle misure protezionistiche, un contesto che ostacola la ricerca di nuovi mercati per le piccole e medie imprese esportatrici, spesso le più vulnerabili alle fluttuazioni del mercato.
Un aspetto particolarmente delicato è la cosiddetta “deviazione commerciale”.
Il mercato europeo, per sua natura, è il più simile al mercato statunitense in termini di struttura della domanda.
L’accordo commerciale potrebbe innescare una ri-destinazione di flussi commerciali, con beni provenienti da paesi terzi come Cina, Regno Unito, India e Turchia – precedentemente diretti verso gli Stati Uniti – che si riversano sul mercato comunitario.
Questa dinamica intensificherebbe la concorrenza e potrebbe generare eccessi di offerta, mettendo a dura prova la competitività delle imprese europee.
La capacità di adattamento e l’innovazione strategica diventano, quindi, fattori determinanti per mitigare gli effetti di questa nuova realtà commerciale globale.