L’Italia si trova di fronte a una sfida strutturale che ne compromette la competitività a lungo termine: un marcato rallentamento nell’investimento in innovazione e ricerca. Questa carenza, che rischia di relegare il nostro paese a un ruolo marginale nell’economia globale, non è un fenomeno recente ma l’esito di una progressiva sottovalutazione strategica di settori cruciali per la crescita e la creazione di occupazione di qualità. L’affermazione del segretario generale della Uil, Pierpaolo Bombardieri, nel contesto del Festival dell’Economia di Trento, ne rappresenta un campanello d’allarme particolarmente significativo.L’abbandono, in termini di risorse finanziarie e di visione politica, dell’innovazione e della ricerca, ha generato un divario allarmante rispetto ad altre economie avanzate, capaci di comprendere appieno il ruolo propulsivo di queste attività. Non si tratta semplicemente di una questione di finanziamento, ma anche di un cambiamento culturale e di un sistema di incentivazione che premi la sperimentazione, l’assunzione di rischi e la collaborazione tra università, centri di ricerca e imprese.L’esempio dell’auto elettrica, spesso citato come simbolo della transizione ecologica, ne è una vivida esemplificazione. Sebbene l’attenzione sia focalizzata sullo sviluppo tecnologico e sulla produzione di veicoli a emissioni zero, è altrettanto importante intervenire a livello sistemico, attraverso politiche pubbliche mirate che supportino l’intero ecosistema della mobilità sostenibile. Ciò implica non solo incentivi all’acquisto, ma anche investimenti in infrastrutture di ricarica capillari, nella formazione di competenze specialistiche e nello sviluppo di filiere industriali competitive.La Uil sottolinea giustamente il ruolo potenziale dei fondi europei come strumento per colmare questo divario. Tuttavia, è fondamentale che questi finanziamenti siano gestiti in modo efficiente e trasparente, evitando sprechi e garantendo che raggiungano effettivamente i destinatari finali: imprese, ricercatori e centri di ricerca. È necessario un cambio di paradigma che ponga l’innovazione al centro delle politiche economiche nazionali, promuovendo la ricerca di base e applicata, sostenendo l’imprenditoria innovativa e stimolando la collaborazione tra il mondo accademico e quello produttivo. La capacità di generare nuove conoscenze e di trasformarle in prodotti e servizi competitivi è l’elemento chiave per garantire un futuro prospero e sostenibile per l’Italia. Il rischio di rimanere indietro, di assistere al progressivo declino della nostra capacità produttiva, è reale e richiede un’azione decisa e coordinata a tutti i livelli. La transizione verso un’economia più innovativa non è solo una necessità economica, ma un imperativo sociale e politico.
Innovazione a rischio: l’Italia in ritardo nel mondo.
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