Un grido di rottura, un monito lacerante: “Stop al gemellaggio con Tel Aviv”.
Le parole, dipinte su un imponente striscione, hanno interrotto il silenzio commemorativo in Piazza Fontana a Milano, nel cinquantesimo sesto anniversario di una delle pagine più oscure della storia italiana.
Un evento che, come una cicatrice aperta, continua a riverberare nel tessuto sociale, alimentando un dibattito complesso e doloroso.
La manifestazione, evocativa e carica di significato, ha visto la presenza di attivisti per i diritti dei palestinesi, figure ormai abituali in Piazza Duomo, dove la loro voce si alza ogni sera per protestare contro la tragedia umanitaria in corso a Gaza.
Il loro gesto, apparentemente dirompente, si radica in una profonda riflessione sulla responsabilità morale e politica delle istituzioni locali.
La richiesta di interrompere il gemellaggio con Tel Aviv, sostenuta con forza dal consigliere comunale Carlo Monguzzi, non è un atto isolato, ma l’apice di un crescente disagio.
Si tratta di un appello a ripensare i legami internazionali in un contesto geopolitico segnato da un conflitto sempre più drammatico e da accuse di violazioni dei diritti umani.
Il gemellaggio, nato presumibilmente con intenti di scambio culturale e promozione di valori condivisi, appare oggi a molti come una forma di tacita complicità con le politiche del governo israeliano, accusato di perpetrare un’occupazione illegale e di commettere crimini di guerra.
Interromperlo significherebbe non solo esprimere solidarietà al popolo palestinese, ma anche sollevare un interrogativo cruciale: fino a che punto le istituzioni locali possono ignorare le implicazioni etiche e politiche delle loro relazioni internazionali?La scelta di Piazza Fontana, luogo simbolo di una strage terroristica rimasta irrisolta e avvolta da ombre, non è casuale.
Essa vuole richiamare l’attenzione sulla necessità di un’indagine profonda e trasparente sui legami tra la violenza politica, il potere e il silenzio istituzionale.
Un silenzio che, in questi anni, ha contribuito a perpetuare un conflitto che costa vite umane e sofferenze indicibili.
L’azione degli attivisti rappresenta un atto di disobbedienza civile, un tentativo di scuotere le coscienze e di forzare un confronto pubblico su temi di giustizia, diritti umani e responsabilità collettiva.
La loro voce, unita alla richiesta del consigliere Monguzzi, si erge come un appello urgente a ridefinire i valori fondanti della convivenza civile e a ripensare il ruolo delle istituzioni locali in un mondo sempre più interconnesso e complesso.
Il gemellaggio con Tel Aviv, da simbolo di amicizia e collaborazione, rischia di trasformarsi in un fardello etico, un peso insopportabile per una città che si dichiara attenta ai diritti di tutti.




