L’affermazione di Adrien Rabiot risuona con una crescente perplessità che investe il mondo del calcio italiano.
L’espatrio di partite di campionato, come quella ipotetica tra Milan e Como a Perth, in Australia, solleva interrogativi profondi che vanno ben oltre la semplice logica sportiva e toccano questioni di identità, tradizione e, inevitabilmente, di economia.
La contestazione di Maignan, capitano rossonero, testimonia una condivisione diffusa di questo disagio, un sentimento che si radica nella consapevolezza che si stiano sacrificando principi fondamentali sull’altare del profitto.
La questione non è meramente una opposizione al cambiamento, ma una critica alla superficialità con cui si approccia all’innovazione.
Trasferire un incontro di Serie A in un continente distante implica una perdita di significato intrinsecamente legata all’ambiente in cui la partita nasce e si sviluppa.
Il tifo, la passione dei tifosi locali, la stessa atmosfera unica che si crea attorno a una partita casalinga, tutto questo viene diluito e compromesso in un contesto estraneo, quantomeno artificiale.
Si assiste alla mercificazione dell’emozione calcistica, una riduzione della sua essenza a mero prodotto da esportare, potenzialmente svuotato del suo valore culturale e sociale.
È cruciale interrogarsi sulle conseguenze di questa tendenza.
Oltre all’impatto sui tifosi, si rischia di erodere l’identità del campionato, rendendolo sempre più distante dalla sua base popolare.
La Serie A, come altri campionati europei, ha costruito la sua storia e la sua reputazione attorno a una specifica cultura del calcio, fatta di passione, tradizione e un legame profondo con il territorio.
L’espatrio di partite, se generalizzato, potrebbe impoverire questo patrimonio, trasformando il calcio in un mero spettacolo itinerante, privo di radici e di significato.
La spinta economica dietro queste iniziative è comprensibile, e la ricerca di nuovi mercati e di fonti di reddito è un’esigenza reale per il calcio moderno.
Tuttavia, è imperativo che questa ricerca non avvenga a scapito dell’integrità del prodotto sportivo e del rispetto per la cultura calcistica locale.
Esistono alternative, come l’espansione del brand attraverso partnership strategiche o la promozione di eventi dedicati, che possono generare ricavi senza compromettere l’identità del campionato.
La voce di Rabiot e l’adesione di Maignan rappresentano un campanello d’allarme, un invito a riflettere criticamente sulle scelte che vengono prese e a riaffermare l’importanza di preservare l’autenticità del calcio italiano.
La passione dei tifosi, il legame con il territorio, la tradizione: sono questi gli elementi che rendono il calcio un fenomeno sociale unico e irripetibile, e non un mero bene di consumo da trasferire in un luogo qualsiasi del mondo.




