La notizia sconvolgeva l’intera città: Chamila Wijesuriya, una giovane donna con un futuro pieno di promesse, era stata crudelmente assassinata all’interno dell’hotel Berna di Milano. Emanuele De Maria, il detenuto già noto per aver commesso femminicidio, aveva trovato la sua nuova vittima fra i dipendenti dell’albergo. Ma cosa spinse questo individuo a compiere un simile atto di violenza? La risposta era semplice: la paura di essere scoperto e denunciato.Chamila Wijesuriya, come aveva confessato in seguito Hani Fouad Nasra, altro dipendente dell’hotel che aveva cercato di proteggere lei e gli altri colleghi da De Maria, aveva espresso una profonda preoccupazione per la propria incolumità. E non a torto: il detenuto, infatti, si era mostrato estremamente aggressivo e minaccioso nei confronti degli altri dipendenti.La notte dell’omicidio, l’hotel Berna sembrava essere in una sorta di “stanchezza” totale. Tutti i sistemi di sicurezza erano andati in panne: telecamere rotte, allarmi guasti e un sistema di videoritagliatura inefficiente. In questa situazione di totale disorganizzazione, De Maria era riuscito a commettere il suo orribile crimine.L’inchiesta del caso è stata molto complessa: la polizia ha doveroso analizzare tutte le evidenze e interrogare i dipendenti dell’albergo. Hani Fouad Nasra, per esempio, raccontò che aveva messo in guardia Chamila Wijesuriya sulla pericolosità di De Maria, ma quest’ultima non era stata creduta.Ma cosa spinse l’uomo a compiere un simile atto di violenza? La risposta è semplice: la paura di essere scoperto e denunciato. Chamila Wijesuriya era una donna coraggiosa che aveva deciso di segnalare le sue preoccupazioni alla sicurezza dell’hotel.Il caso, però, non si limita solo all’omicidio della giovane barista ma anche alle numerose lacune delle procedure di sorveglianza e controllo del personale dei detenuti in uscita dal carcere.