domenica 24 Agosto 2025
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Amazzonia: La Dichiarazione di Bogotà tra impegni e ombre

Il recente vertice dell’Organizzazione del Trattato di Cooperazione Amazzonica (OTCA), culminato con la “Dichiarazione di Bogotà”, segna un momento cruciale per il futuro della regione amazzonica e il dibattito globale sul cambiamento climatico.
L’incontro, tenutosi a Bogotà, ha visto l’impegno formale dei Paesi membri – Brasile, Bolivia, Colombia, Ecuador, Guyana, Perù e Suriname – a perseguire strategie condivise in preparazione alla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP30) che si svolgerà a Belém nel novembre 2025.
La dichiarazione, pur delineando un percorso di collaborazione, rivela tensioni e compromessi che riflettono le diverse priorità economiche e politiche dei Paesi coinvolti.
Tra i punti cardine figurano iniziative volte a contrastare la deforestazione, riconosciuta come motore principale della crisi climatica e della perdita di biodiversità.
L’istituzione di un fondo dedicato alla protezione delle foreste tropicali rappresenta un tentativo di mobilitare risorse finanziarie a sostegno di progetti di conservazione e sviluppo sostenibile.
La creazione di un meccanismo di dialogo permanente, inoltre, mira a favorire lo scambio di informazioni e la coordinazione delle politiche ambientali.
Un elemento particolarmente significativo è l’enfasi sulla partecipazione dei popoli indigeni, custodi secolari della foresta e detentori di conoscenze invaluable per la sua gestione sostenibile.

La dichiarazione riconosce il loro diritto di essere coinvolti nei processi decisionali che riguardano il loro territorio e promuove la loro autonomia nella protezione delle risorse naturali.

L’istituzione di un centro di intelligence congiunto a Manaus, in Brasile, dovrebbe rafforzare la capacità dei Paesi membri di monitorare e contrastare attività illegali come il disboscamento, l’estrazione mineraria illegale e il traffico di fauna selvatica.
Tuttavia, la “Dichiarazione di Bogotà” non è esente da critiche.

L’assenza di un impegno formale per dichiarare l’Amazzonia zona libera dallo sfruttamento di idrocarburi ha suscitato forti reazioni da parte di associazioni ambientaliste.

La decisione, frutto di resistenze provenienti da Ecuador, Perù, Venezuela e Brasile, mina la credibilità degli impegni assunti e solleva interrogativi sull’effettiva volontà politica di proteggere la regione.
La coalizione “Amazzonia Libera da Combustibili Fossili” ha espresso particolare disappunto nei confronti del presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva, accusandolo di incoerenza: da un lato, si candida a leader nella lotta contro il cambiamento climatico ospitando la COP30, dall’altro, promuove l’espansione dell’attività petrolifera nell’Amazzonia brasiliana, un atto che contraddice gli obiettivi di decarbonizzazione e mette a rischio l’integrità ecologica della regione.

La “Dichiarazione di Bogotà” rappresenta un punto di partenza, ma la sua efficacia dipenderà dalla capacità dei Paesi membri di tradurre gli impegni formali in azioni concrete e di affrontare le contraddizioni intrinseche che caratterizzano il rapporto tra sviluppo economico e protezione ambientale.

Il futuro dell’Amazzonia, e con esso una parte significativa del futuro del pianeta, è appeso a un filo.

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