martedì 2 Settembre 2025
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Belgio e Palestina: Reazione Israele, Ben-Gvir attacca con retorica forte

La recente mossa del Belgio, che ha avanzato una proposta alle Nazioni Unite per il riconoscimento di uno Stato palestinese, ha innescato un’ondata di reazioni a Israele, con il ministro Itamar Ben-Gvir che ha espresso una condanna veemente.
La sua affermazione, intrisa di un tono bellicoso, proietta una visione del panorama internazionale permeata da sospetto e una profonda sfiducia verso le intenzioni di alcuni attori europei.
L’accusa di “ingenuità” rivolta ai paesi che sostengono la proposta belga non è una semplice critica politica; suggerisce una presunta incapacità di comprendere la natura intrinsecamente violenta del conflitto israelo-palestinese e, soprattutto, un’errata percezione di Hamas, dipinto come un manipolatore abile nel sfruttare la benevolenza altrui.
L’equazione implicita, e a suo modo sconvolgente, stabilita da Ben-Gvir, lega direttamente la fiducia in un futuro palestinese a una spirale di violenza, evocando un passato traumatico per Israele.

Il riferimento agli “stupro, omicidi e massacri” non è semplicemente un rimando storico; è una strategia retorica volta a instillare un senso di paura e a delegittimare qualsiasi tentativo di dialogo o compromesso.
L’allusione a “chi un tempo credeva a tali illusioni” implica che chi sostiene la possibilità di un futuro palestinese è inevitabilmente destinato a subire le conseguenze di tali “falsi ideali”.
La retorica è pensata per demonizzare la prospettiva di uno Stato palestinese, presentandola come una porta aperta al terrore.

La chiamata all’unità del “mondo libero” contro il “terrore” è un appello a una solidarietà incondizionata, ma allo stesso tempo, oscilla pericolosamente sull’orlo di una semplificazione eccessiva di un conflitto dalle radici profonde e complesse.
Ignora la sofferenza e le aspirazioni del popolo palestinese, riducendole a un mero strumento nelle mani di un’organizzazione terroristica.
Ben-Gvir sembra voler erigere una barriera ideologica, rifiutando qualsiasi concessione o riconoscimento che possa, a suo dire, legittimare la violenza.
La sua posizione radicale riflette una visione del mondo in cui la sicurezza di Israele è l’imperativo supremo, e qualsiasi iniziativa che possa percepirsi come una minaccia – anche la più tenue – deve essere respinta con forza.
L’affermazione, in definitiva, non solo condanna una decisione politica specifica, ma incapsula una filosofia di sicurezza che sembra impermeabile al dialogo e incline alla escalation.
La prospettiva, sebbene comprensibile nel contesto di eventi tragici, rischia di perpetuare un circolo vizioso di conflitto e di rendere sempre più arduo raggiungere una risoluzione pacifica.

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