La crescente tensione tra la Repubblica Popolare Cinese e la NATO si radica in una divergenza interpretativa fondamentale: Pechino accusa l’Alleanza Atlantica di strumentalizzare un presunto pericolo cinese per giustificare un’espansione strategica nell’Indo-Pacifico. La dichiarazione, rilasciata dal portavoce del ministero della Difesa cinese, Zhang Xiaogang, a seguito del vertice NATO all’Aja, riflette una posizione che va ben oltre la semplice disapprovazione.L’affermazione di Pechino sottolinea una percezione di manovra geopolitica. La Cina vede l’attivazione e il rafforzamento della NATO come un tentativo di contenimento, una risposta preventiva a una potenza emergente che, secondo la visione cinese, persegue legittimi interessi di sviluppo e sicurezza regionale. Questa narrazione si contrappone direttamente alla retorica occidentale, che presenta l’azione della NATO come una risposta necessaria a un comportamento sempre più assertivo della Cina, caratterizzato da attività militari aggressive nel Mar Cinese Meridionale, intimidazioni nei confronti di Taiwan e una crescente influenza economica in Asia.La dinamica in gioco trascende una semplice disputa sulla sicurezza militare. Essa incarna una lotta più ampia per l’influenza globale e la definizione delle regole dell’ordine internazionale. La NATO, nata nel contesto della Guerra Fredda, si sta reinventando per affrontare le sfide del XXI secolo, con la Cina che emerge come un elemento centrale nel suo nuovo paradigma strategico. La risposta cinese evidenzia la preoccupazione di Pechino per l’erosione della sua sovranità percepita e per un sistema di alleanze che, a suo dire, mira a isolarla e a limitare la sua capacità di operare liberamente nel suo vicinato.Questa accusa di strumentalizzazione implica una critica non solo all’espansione geografica della NATO, ma anche alla sua funzione ideologica. Pechino suggerisce che l’etichetta di “minaccia” applicata alla Cina serve a consolidare la coesione interna dell’Alleanza e a giustificare investimenti militari crescenti, alimentando un circolo vizioso di tensione e diffidenza. L’espressione “presunta minaccia” è particolarmente significativa: mina la validità delle motivazioni addotte dalla NATO, accusandola di fabbricare un problema per ottenere un risultato politico.Inoltre, la reazione cinese sottolinea una frustrazione crescente per la mancanza di dialogo costruttivo e di comprensione reciproca. La percezione di essere sistematicamente demonizzata e isolata contribuisce a irrigidire le posizioni e a rendere più difficile la gestione delle divergenze. La questione non riguarda solamente la presenza militare della NATO nell’Indo-Pacifico, ma anche l’impatto di questa strategia sulla stabilità regionale e sul futuro delle relazioni internazionali. La capacità di Pechino e della NATO di trovare un terreno comune per affrontare le sfide globali, dalla sicurezza del commercio alla lotta al cambiamento climatico, dipenderà in ultima analisi dalla capacità di superare queste divergenze interpretative e di instaurare un dialogo aperto e trasparente.