Il vertice del G7 a Kananaskis, celebrato in concomitanza con il cinquantesimo anniversario del Gruppo, si è concluso senza la consueta dichiarazione congiunta, un evento che riflette una frattura profonda e inedita all’interno del blocco. Lungi dall’essere un’occasione di celebrazione e rafforzamento della cooperazione, l’incontro ha evidenziato divergenze irriducibili tra l’approccio “America First” promosso dall’amministrazione Trump e le posizioni degli altri membri.Le tensioni, palpabili durante l’intera durata del vertice, si sono manifestate in maniera particolarmente acuta su questioni cruciali per l’ordine internazionale contemporaneo. La guerra in Ucraina, con le relative implicazioni per la sicurezza europea e la stabilità geopolitica, è stata un punto di scontro primario, innescando un acceso dibattito sulle strategie di deterrenza e sui limiti dell’assistenza militare. Analogamente, il conflitto israelo-palestinese e la crisi umanitaria a Gaza hanno generato opinioni discordanti, complicando la ricerca di una risposta coordinata e di un impegno comune verso la promozione di una soluzione pacifica e sostenibile.La questione del cambiamento climatico, storicamente un pilastro della cooperazione internazionale, non è stata risparmiata dalle tensioni. L’atteggiamento americano, percepito come meno proattivo nell’adozione di misure concrete per la riduzione delle emissioni, ha minato il consenso su obiettivi condivisi e strategie di mitigazione. Similmente, le divergenze si sono estese alla politica degli aiuti allo sviluppo, con visioni differenti sulla distribuzione delle risorse e sulla definizione delle priorità.A tutto ciò si aggiungono le crescenti preoccupazioni legate all’imposizione di dazi da parte degli Stati Uniti, un’azione unilaterale che ha esacerbato le relazioni commerciali con i partner europei e creato un clima di incertezza economica. La recente proposta di nuove sanzioni alla Russia, avanzata da alcuni paesi europei, ha ulteriormente complicato il panorama diplomatico, alimentando un senso di frustrazione e di diffidenza.L’assenza di una dichiarazione congiunta rappresenta dunque un segnale allarmante per il futuro del G7, mettendo in discussione la capacità del Gruppo di agire come un attore unitario sulla scena internazionale. Questa frattura non è solo un sintomo di disaccordo politico, ma riflette una più profonda ridefinizione delle relazioni transatlantiche e della governance globale, ponendo interrogativi fondamentali sulla sostenibilità del multilateralismo nell’era del nazionalismo economico e delle crescenti polarizzazioni geopolitiche. L’evento di Kananaskis, al di là della sua apparente natura di semplice vertice, si configura come un punto di svolta, un momento di riflessione amara sulla fragilità e la precarietà delle istituzioni internazionali.