Nel contesto di una crescente pressione internazionale e di accuse di carestia, il governo israeliano ha orchestrato un’inedita iniziativa volta a influenzare la narrazione pubblica sulla situazione umanitaria nella Striscia di Gaza.
Un gruppo selezionato di influencer americani e israeliani, provenienti da diverse piattaforme digitali e con un seguito considerevole, è stato autorizzato a breve termine ad accedere al territorio, un evento eccezionale data la restrizione degli accessi imposti.
L’operazione, gestita dal Ministero degli Affari della Diaspora, si presenta come una risposta strategica alla presunta campagna di disinformazione orchestrata da Hamas, volta a screditare Israele e a manipolare l’opinione pubblica internazionale.
L’iniziativa si inserisce in un più ampio sforzo di comunicazione volto a contrastare la percezione di un blocco umanitario intenzionale e a dimostrare, attraverso la testimonianza diretta di personalità influenti sui social media, che il meccanismo di distribuzione degli aiuti è in funzione e che le difficoltà incontrate dalla popolazione civile sono dovute ad altri fattori, presumibilmente legati alla gestione da parte di Hamas.
Tra i partecipanti, spicca la presenza di Xaviaer DuRousseau, figura di spicco tra gli influencer conservatori della Generazione Z, noto per il suo seguito massiccio su Instagram, Facebook e TikTok.
La sua testimonianza, veicolata tramite video che mostrano accumuli di beni di prima necessità in attesa di distribuzione, si configura come un tentativo di legittimare la posizione israeliana e di minimizzare le responsabilità del governo riguardo alla crisi umanitaria.
Analogamente, Brooke Goldstein, influencer residente a Miami, ha condiviso immagini della sua visita a Khan Yunis, sottolineando la presunta discrepanza tra la realtà osservata e le notizie diffuse dai media, accusati implicitamente di parzialità e di sensazionalismo.
Un elemento significativo dell’iniziativa è la presenza di Marwan Jaber, un sedicenne israeliano druso, noto per le sue critiche aperte nei confronti delle agenzie delle Nazioni Unite operanti a Gaza.
Il suo video, in cui esprime rabbia e frustrazione verso gli operatori umanitari, riflette un sentimento diffuso tra alcuni settori della società israeliana e contribuisce a delegittimare il ruolo delle organizzazioni internazionali nel territorio.
La decisione di destinare risorse finanziarie significative per invitare influencer americani in Israele rivela la crescente importanza attribuita alla comunicazione strategica nella gestione del conflitto israelo-palestinese.
L’operazione, pur nella sua apparente innocuità, solleva interrogativi etici sulla trasparenza, l’indipendenza e la responsabilità dei social media influencer, in particolare quando agiscono come strumenti di propaganda politica.
La narrazione ufficiale, veicolata attraverso testimonianze selezionate e manipolate, rischia di oscurare le reali condizioni di vita della popolazione gazaiana e di ostacolare la ricerca di soluzioni pacifiche e durature.
L’azione, inoltre, accentua il rischio di un’ulteriore polarizzazione del dibattito pubblico e di un’erosione della fiducia nelle istituzioni e nei media tradizionali.