La recente escalation di tensioni tra Iran e Israele, culminata negli attacchi di giugno, rappresenta un tentativo deliberato, secondo le parole del Guida Supremo Ali Khamenei, di destabilizzare l’intera struttura della Repubblica Islamica.
Piuttosto che semplici azioni militari, questi attacchi, come Khamenei ha esplicitamente dichiarato in un discorso rivolto alla magistratura, sono stati concepiti come un’operazione strategica volta a erodere le fondamenta del regime.
Il piano, secondo l’analisi di Khamenei, si articolava su due livelli.
In primis, la mirata colpo a figure chiave e infrastrutture cruciali del paese, con l’obiettivo di indurre un senso di vulnerabilità e disordine.
Successivamente, si prevedeva l’attivazione di una rete di agenti – definita con termini duri come “mercanti”, “ipocriti”, “monarchici” e “gentaglia” – elementi interni all’Iran, pronti a fomentare il malcontento popolare e a innescare proteste diffuse.
L’ipotesi era che una combinazione di colpi diretti e destabilizzazione interna avrebbe portato a un collasso del sistema.
Questa interpretazione degli eventi da parte di Khamenei rivela una comprensione sofisticata della guerra ibrida e delle sue implicazioni.
Non si tratta semplicemente di una risposta militare a un atto di aggressione, ma di una percezione di un tentativo di sovvertire il potere attraverso una combinazione di azioni militari mirate e manipolazione interna.
La retorica utilizzata dal Guida Supremo, con la caratterizzazione dispregiativa dei gruppi interni che si suppone stiano collaborando con gli “aggressori”, serve a consolidare il sostegno al regime, demonizzando potenziali oppositori e rafforzando l’identità collettiva attorno a un nemico esterno percepito.
L’affermazione di Khamenei solleva interrogativi complessi sulle dinamiche interne dell’Iran e sulle reali capacità operative delle forze di opposizione.
La sua narrazione, pur presentando una versione ufficiale degli eventi, suggerisce una preoccupazione profonda per la possibilità di una rivolta popolare guidata da elementi interni con legami esterni, un timore che alimenta un controllo sempre più rigoroso sulla società iraniana e un’ulteriore escalation delle tensioni regionali.
La denuncia di “cellule dormienti” e di un piano ordito per “affossare” il sistema enfatizza la percezione di una minaccia esistenziale che giustifica misure drastiche per la sicurezza del regime.